Qualche settimana fa girava sui social questa domanda: se le leggi fossero sospese per un giorno, tu cosa faresti? La domanda ha ricevuto molte risposte diverse, spesso ironiche, ma non l’avrei notata se a un certo punto non fosse diventata un tema del giorno su Twitter: molte persone si sono giustamente arrabbiate perché fra le risposte cominciavano a comparire con una certa insistenza fantasie molto violente.

Alcuni account (con nomi inventati) scrivevano che se le leggi fossero sospese per un giorno bisognerebbe andare in giro a stuprare liberamente e a compiere violenze fisiche assortite. Il furto di denaro non ha avuto lo stesso successo, fra le fantasie criminali. Sicuramente non ha avuto la stessa risonanza, non ha attirato lo stesso livello di interesse e curiosità: la brutalità, insomma, ha vinto sui soldi.

Il male che c’è

Come tanti, leggendo questi commenti, ho provato orrore. Poi ho cercato di non pensarci troppo, di convincermi che è l’ennesima stupidaggine dei social, anche se so che non è così: la questione della violenza è pervasiva, e i segnali di natura anche astratta, legati all’immaginazione, non devono lasciarci indifferenti. Contano molto.

Soprattutto conta questo desiderio di dire ad alta voce che si vuole far del male agli altri (e soprattutto alle altre). Il male esiste da sempre, ma ultimamente pare ci sia un certo desiderio di esibire il proprio desiderio di compierlo. Il concetto di “basta correttezza politica, voglio dire quello che penso” viene portato agli estremi nella sua versione più ripugnante, e le parole espresse, anche se poi magari non diventeranno violenza reale, hanno un peso.

Un pensiero rifugio

In via secondaria, mi ha colpito il fatto che a nessuno sia venuto in mente quello che per me è ovvio: se le leggi fossero sospese per un giorno, l’unica cosa da fare sarebbe chiudersi in casa e aspettare che passino le ore. È la scelta più semplice e sensata. Autolimitarsi e proteggersi, nell’attesa che ritorni l’ordine.

Se tutti lo facessero, non accadrebbe nulla. Ma mi rendo conto che questa impostazione è per molti insoddisfacente: le persone forse non vogliono che non accada nulla. (Anche se poi credo che, alla prova dei fatti, molti si chiuderebbero in casa).

Possiamo poi fare i “figli dei fiori” e dire che sarebbe bello sfruttare l’assenza di regole per fare alcune rivoluzioni positive, piccoli sabotaggi che ci portino ad avere un mondo migliore, non chiedetemi quali, dovrei pensarci.

È bello pensare di farli, ma bisogna ricordarsi che si verrebbe fermati: nel momento in cui ci si muove è irrealistico pensare che non si muovano anche le forze contrarie ai nostri desideri. Provocando uno scontro fisico, forse armato. L’assenza di regole, del resto, non significa la cessazione del potere: il potere può continuare ad agire, anzi lo fa, indisturbato.

La verità è che la domanda «se le leggi fossero sospese per un giorno, tu cosa faresti» mi mette addosso molta tristezza. Oggi non mancano le occasioni per aspettarsi il peggio, soprattutto dalle persone: questo aneddoto di Twitter che ho raccontato, del resto, sembra confermarlo. Ma le conferme sono continue, tanto che “il peggio” è diventato il nostro pensiero rifugio.

Questione di aspettative

Qualche anno fa Ha-Joon Chang, professore di Cambridge, nel libro 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo scrisse che se ci aspettiamo il peggio dagli altri, otterremo il peggio. La sua era una critica all’impostazione economica degli interessi personali puri come unico motore dei comportamenti.

Oggi siamo oltre la questione economica, e lo schema mentale “aspettarsi il peggio” dilaga, anche se poi chissà se è molto intelligente. Forse davvero genera profezie che si autoavverano: più ci aspettiamo il peggio, più le persone confermeranno le nostre aspettative negative.

La diffidenza è ormai una norma politica e culturale, certi populismi ci hanno marciato, e viene spontaneo proteggersi da eventuali danni anticipando intenzioni negative. L'impulso di presumere il peggio è radicato in noi perché deriva dall’istinto di sopravvivenza: anticipare le minacce. Ma c’è anche, e sempre di più, l’influenza dei media e il circolo vizioso con i social: sensazionalizzare e amplificare storie negative.

Il risultato è l’erosione della fiducia su cui si basano amicizie, alleanze e persino relazioni globali. Isolamento e conflitto. Forse permanenti. E non sono così naïf da suggerire che (non si sa come) diventiamo tutti empatici, armoniosi e ciecamente fiduciosi. Ma mi chiedo se continuare a vivere al confine con la desolazione sia la strategia migliore.

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