È caduto un velo che solo l'ipocrisia teneva ancora in piedi. La sentenza arrivata dal Lussemburgo appare come un totale disconoscimento dell'autorità calcistica finora sperimentata. Smonta un sistema sportivo che reggeva più o meno intatto dal Novecento.

Nella Uefa e nella Fifa abbiamo storicamente riconosciuto delle istituzioni nate per disciplinare l'attività del calcio, diventate via via più ampie, potentissime, temute e blandite da spietati dittatori, con più stati membri della stessa Ue e dell'Onu, alla fine detentrici di una considerevole libertà. L'Uefa per esempio considera una realtà autonoma Gibilterra, la Palestina è disconosciuta da 55 paesi ma per la Fifa esiste e gioca le qualificazioni ai Mondiali.

Anche la giustizia è amministrata intra moenia. Ci sono circostanze nelle quali la magistratura ordinaria ha dei limiti: non si può denunciare in procura un avversario per un pugno o uno sputo preso in campo. Il calcio – tutto lo sport – ha vissuto sotto molti aspetti in condizioni di extra-territorialità.

Questo parevano allora Uefa e Fifa: un governo. Ora la Corte di giustizia Ue retrocede un governo a monopolio. Siamo scivolati cioè da un piano politico a una dimensione mercantile. Se succede solo ora, perché succede proprio ora, è spiegato in un inciso del dispositivo, quattro parole, con cui la Corte dice che questi calci a un pallone, questi tornei, con lo sfruttamento dei diritti tv sono diventati «quiet evidently economic activities», attività economiche in modo abbastanza evidente. Si sente pure un filo di sarcasmo.
È come rimproverare al papa di organizzare messe. Ma se intorno alle messe l'attività principale diventa un'altra, forse in quel settore a qualcuno vien voglia di fare concorrenza. La Corte sta provando a spiegare a Uefa e Fifa che se hanno portato il calcio nel territorio puro dell'economia, è alle regole dell'economia che bisogna attenersi.

Nell'acronimo della nostra Figc, la lettera G sta per gioco, ma la sentenza di ieri è la vittoria di chi il gioco l'ha azzerato, di chi interpreta il calcio - e lo sport - da trent'anni come un fenomeno solo economico.

Sempre più tornei, sempre più lunghi, più larghi, più ricchi. Restava in piedi la finzione, l'idea che alla fine ci fosse un equilibrio, una misura tra affari e gioco. Stritolate dal gigantismo e dalle loro coppe-bancomat, Fifa e Uefa sono le prime responsabili di questa sconfitta, degradate ora da Palazzi a Confindustrie.
Il punto è cosa voglia farsene ora il calcio della sentenza, come la userà. Non possono esserci stamattina tutte le risposte, casomai si intuiscono i contorni del verosimile, conoscendo gli attrezzisti dietro le quinte.

Se nel 2021 faceva sorridere la difesa del calcio del popolo da parte di Boris Johnson, altrettanto accade con Florentino Pérez che si sente difensore dell'Europa delle libertà. È davvero il caso di sentirsi più liberi se esultano Barcellona e Real Madrid? Non si sono mai viste rivoluzioni guidate dai re. È solo una banale resa dei conti nello sfruttamento di un business, i club contro le istituzioni, i privati contro i vecchi governi.

Sarà paradossale allora veder tradotta una sentenza liberale in un torneo che punta a garantire più soldi alle élite, vecchi papaveri spesso con storie da monopolisti alle spalle, bravi a portare i loro club al dissesto finanziario e in grado di salvarsi solo così. La Corte di giustizia Ue scrive e parla secondo nobili principi, questi sono signori che si mettono d'accordo sul numero di fette della torta da dividersi, si prendono e si lasciano secondo i bisogni. Non ci sono nel calcio vergini che portano candele.
Non tutto può esser chiaro stamattina, dove andremo, cosa sarà, ma nasce ufficialmente il capitolo nel quale non possiamo più considerare il calcio uno sport. Ce lo chiede l’Europa. Per 15 anni Djokovic Federer e Nadal si sono sfidati in 23 finali di uno Slam. Dal 2004 se ne sono spartiti 65 su 79. Ma sono sempre partiti dal primo turno, contro avversari 150esimi in classifica e qualche volta hanno finanche perso.

Usain Bolt è stato l'uomo più veloce al mondo per nove anni, ha vinto 19 medaglie d'oro tra Mondiali e Olimpiadi, ma non è stato mai esentato dal correre la batteria di fianco a un Francis Manioru, Isole Salomone, così lento da fare 100 metri in 11.09, un secondo e passa più lento di lui. Questo fa lo sport, questo faceva pure il calcio. Prima di diventare «quiet evidently economic activities».

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