Se qualcosa non funziona meglio nasconderla. Quella che sembrava la più grande decisione politica del decennio per l’Italia e per l’Unione europea è quasi sparita dalle cronache. Dopo che il governo Meloni ha ottenuto la terza rata, il Pnrr si è inabissato sia per quanto concerne lo stato di avanzamento sia per la ridefinizione dei progetti.

Ciò che è certo è che l’Italia è in ritardo sull’attuazione di molte parti del piano e che l’elenco di opere è così lungo da far dubitare della utilità di parecchie di esse. Tuttavia, nella sparizione del Pnrr non ci sono soltanto colpe e omissioni del governo attuale, che tra pochi mesi rischierà quasi certamente di risvegliarsi impantanato e con le future rate messe a repentaglio, ma c’è anche una scarsa attenzione a Bruxelles dove, oltre i soliti controlli formali e tecnici, si è scelta per ora la linea morbida con l’Italia.

La Commissione è a fine corsa e nessuno sembra aver voglia di mettersi troppo di traverso ai partiti della destra italiana che potranno rivelarsi preziosi per gli equilibri dopo le elezioni europee della prossima primavera. Inoltre un fallimento totale del Pnrr in Italia metterebbe a disagio anche le istituzioni europee che sullo strumento hanno puntato molta della propria credibilità.

Sul successo del pacchetto c’è già qualche scricchiolio, basti pensare che 93 miliardi di prestiti del Next Generation Eu giacciono inutilizzati perché diversi governi europei hanno scelto di non farvi ricorso. L’Italia inoltre va convinta su altri dossier europei, come la riforma del patto di stabilità e l’approvazione del Mes, dunque meglio non mettere subito Meloni spalle al muro sul piano. Per questi motivi nessuno calca la mano sui ritardi del governo italiano.

Ma il Pnrr sembra mettere in difficoltà anche le opposizioni, infatti da mesi oramai tutti i leader hanno scelto altri argomenti per attaccare il governo. Forse perché il piano è troppo vasto, forse perché è complesso presentare proposte alternative e di certo perché tutti i partiti dell’opposizione sono stati coinvolti nei governi Conte 2 e Draghi che hanno impostato il Pnrr, anche in questo caso non senza problemi e ritardi.

Di fatto per un incrocio di convenienze involontarie, il Pnrr è sparito dal centro della discussione. Non è una buona notizia per il paese perché l’ingresso in una fase economica recessiva rende preziosi i denari rimanenti e la crescita che potrebbero generare. Invece il Pnrr viene portato avanti dal governo Meloni come se fosse una pesante croce più che una opportunità.

Dopo i toni trionfalistici della prima fase, l’Italia oggi rischia di ritrovarsi con più debito, crescita anemica e meno fiducia da parte dei mercati anche per la scarsa gestione del piano. Il governo attuale è responsabile della scomparsa e dell’incapacità di convertire il piano in un’operazione di politica industriale. Tuttavia, in questa vicenda, nessuno è esente da colpe. Il Pnrr rischia di trasformarsi da panacea a fallimento nazionale e forse europeo.

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