Per Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 3 Ottobre): «Quest'anno si è portato molto il tema 'ma perché siamo ancora fascisti' declinato anche come 'Non abbiamo fatto i conti col fascismo' e così via moraleggiando e biasimando».

I primi a non fare i conti col fascismo furono per lui gli antifascisti post-bellici. Cita la dichiarazione del governo Bonomi, espresso dal Comitato di Liberazione Nazionale (Cln): «Soltanto il fascismo è responsabile...dell'ingresso nella guerra...». Essa segue di soli 18 giorni la liberazione di Roma; da lì in su, l'Italia era ancora occupata da Hitler.

Nel Cln c'erano i monarchici, sul trono c'era ancora Vittorio Emanuele III, con cui Bonomi non poteva aprire conflitti istituzionali.

Galli menziona di passata Togliatti, la cui “Svolta di Salerno” è del Marzo 1944, poi punta l'indice sul Partito d'Azione, noto moralista, il cui organo scrisse il 2 Giugno 1946: «Solo la Repubblica è capace di liberarti della responsabilità della guerra monarchico-fascista».

Chiude poi retoricamente chiedendo: «Forse (l'abiura mancò) perché anche i nostri padri costituenti – come oggi non si stancano rimproverarci gli attuali moralisti politici travestiti da storici – preferivano pure loro non ricordarsi di che cosa era stato il fascismo, erano segretamente condiscendenti verso la dittatura mussoliniana, ed erano privi di una sufficiente coscienza etica?».

Sia consentito intervenire anche a un orecchiante che nemmeno ha scritto tre libri su Mussolini, chiaro bersaglio di Galli.

La differenza fra Italia e Germania nei conti col passato deriva forse anche dalla scelta alleata di andar leggeri con l'Italia, frontiera della guerra fredda che già si profilava, e di processare invece il nazismo, condannando a morte a Norimberga i gerarchi che non avevano già fatto da soli, famiglie incluse.

Le terribili immagini delle cataste di morti ammucchiate nei lager servivano a smentire in anticipo chi avrebbe poi negato tutto.

Non l'abiura era necessaria, ma una riflessione corale, profonda, non auto-assolutoria, come nella frase “Italiani brava gente”, menzogna smentita dalle carneficine perpetrate nei Balcani, in Etiopia, in Libia; non contro nemici armati, ma su popolazioni inermi colpevoli solo d'essere il mare in cui nuotavano i nemici del fascismo, indifese e alla nostra mercé, che mancò. Eppure difendevano la loro identità, che in futuro magari “si porterà” meglio dell'antifascismo.

È strano citare Togliatti, Bonomi e il Partito d'Azione, ma scordare Giulio Andreotti (che ben più del primo in questa storia pesò) e il suo abbraccio, da sottosegretario (Maggio 1953) con Rodolfo Graziani, sterminatore dell'inerme clero etiope, ministro della Difesa di Salò.

Galli condivide la scelta di evitare al paese quell'aspra riflessione, ma non si fa mancare una durissima critica alla classe politica uscita dalla guerra.

Mentre la assolve per non aver “fatto i conti”, ne rampogna gli eredi ideali, rei di moralistica ignoranza storica; accusa però quella classe dirigente di “segreta condiscendenza” con Mussolini e di scarsezza etica. Se Galli inizia a moraleggiare avrà elementi ancora a noi ignoti per accuse altrimenti immotivate.

Chi fu temprato dalla lotta con la dittatura, di cui magari da giovane era stato convinto sostenitore, ha ben pagato il fio della propria inesperienza. E tanti di loro ancor giovani, a guerra finita vedevano già l'erba dalla parte delle radici, se pur era stato dato il permesso di seppellirli.

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