Per il mondo ecclesiale e, in particolare, per la conferenza episcopale (Cei) la brevità del confronto elettorale è una giustificazione facile per rimanere ai bordi della disputa. La nuova presidenza del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, può arginare più facilmente le contrapposte spinte. E valorizzare meglio le sintonie. Ne richiamo alcune.

Vi è un generale giudizio positivo sul governo di Mario Draghi e sui risultati della sua azione sia in ordine alla crisi pandemica ed economica sia nella chiarezza della collocazione internazionale (Europa, Nato). Facile convergere sulla richiesta di continuità, soprattutto in ordine al Pnrr.

Da qui un giudizio critico, anche se non pubblico, verso i responsabili della crisi politica. Un secondo punto di accordo è la legittimità prodotta dal voto popolare. Una eventuale maggioranza di destra non sarà delegittimata, anche nel caso di puntuali e prevedibili critiche.

Scarsa l’attenzione ai programmi elettorali, considerati per lo più retorici. Inoltre, a parte le singole biografie dei parlamentati e dei ministri, si è ormai consolidata una certa “distanza” rispetto al personale politico. E una riconosciuta “autonomia” anche su argomenti delicati. Permane l’irritazione nei confronti dell’uso strumentale ed esibizionistico dei simboli religiosi e dei riferimenti di fede da parte dei rappresentanti dei partiti e delle coalizioni.

Il condiviso

È possibile che vi sia stato un invito del papa a non schierarsi, ma la scelta è facilmente condivisa da un corpo episcopale che tendenzialmente evita di pubblicizzare i conflitti. Un atteggiamento che non riguarda solo i vescovi, ma l’insieme delle comunità. Nella sintesi dopo il primo anno del sinodo della chiesa italiana (18 agosto)  il tema della politica e delle istituzioni è assai marginale, con qualche nota autocritica: «La cura della casa comune, il dialogo intergenerazionale, l’incontro tra diverse culture, la crisi della famiglia, la giustizia, la politica, l’economia, gli stili di vita, la pace e il disarmo… La comunità cristiana è chiamata a dire la sua, ma spesso appare afona, chiusa, giudicante, frammentata e poco competente».

L’effetto soporifero relativizza ciò che resta del dibattito fra chi persegue l’identità pubblica dei credenti in politica, chi invita a confondersi nei partiti e chi perora una qualche trasversalità. Una certa pigrizia non consente tuttavia alle comunità cristiane di ignorare posizioni già pubblicamente esposte e, in prospettiva, divisive. Fra queste: un approccio positivo all’immigrazione, il consenso alle proposte di legge sullo ius soli o ius scholae per i figli degli stranieri che sono nati in Italia. Così pure l’attenzione al tema ambientale (l’enciclica Laudato si’) e alla solidarietà internazionale (Fratelli tutti).

Il compito

Permane una inquietudine non residuale non solo rispetto alla tradizione di rilievo del ruolo dei cattolici lungo tutto il ‘900, ma anche per la convinzione di un doveroso e necessario apporto per il futuro del paese.

La chiesa non potrebbe assolversi nel possibile naufragio dello stato e della convivenza civile. Troppo evidenti nella maggioranza delle forze politiche l’assenza della consapevolezza istituzionale, lo scialo delle finanze pubbliche, una concezione clanica dei partiti, la rimozione retorica dei gravi rischi dell’Italia sia interni che esterni. I fronti delle crisi sono ancora tutti attivi: pandemia, guerra, fragilità industriale, programmi energetici e ambientali, sanità pubblica, innovazione tecnologica, politiche fiscali e industriali, urgenza demografica ecc.

Le parole necessarie

In una prospettiva a breve sarebbero utili alcune parole: la difesa della politica, il riconoscimento della crisi della democrazia, l’urgenza della pace, la collocazione internazionale del paese, un nuovo linguaggio nel confronto civile e la consapevolezza del ruolo non delegabile della chiesa in ordine al futuro del paese.

Riprendo due citazioni da Settimananews. «La ricerca di una via attenta al rispetto del pluralismo retico e al tempo stesso capace di suggerire una comunanza etica significativa è la grande missione del mondo cattolico in questo tempo. Una società del pluralismo non può certo essere sorretta da un’etica univoca, ma può aspirare a un inter-etica generata dall’incontro di varietà culturali che abitano la stessa vita pubblica» (Stefano Zamagni). 

«Forse, soprattutto il “mondo cattolico”, con la sua prospettiva storica e la sua cultura istituzionale e trasversale, potrebbe in questo campo fornire un enorme servizio al paese, facilitando l’emergere di proposte che non siano facili scorciatoie – che alcuni temono ormai inevitabili, in Italia e altrove – verso le democrazie presidenzialiste, ma rappresentino una piena presa in carico dei fattori della crisi politica italiana: legge elettorale, finanziamento e ruolo dei partiti, forma di governo» (Giuseppe Boschini). 

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