«Extra omnes!». Non riecheggerà quel «Fuori tutti!» che, secondo la prassi, sigilla i cardinali elettori dando inizio al conclave per eleggere il nuovo papa, eppure l’incontro a porte chiuse che lunedì e martedì riunisce 197 porporati e patriarchi per recepire le novità della Praedicate Evangelium – la costituzione apostolica promulgata dal papa lo scorso 19 marzo – è percepito da molti come un pre-conclave. Nella due giorni di sessioni, la chiesa gerarchica recepirà le principali novità sulla riforma della curia voluta dal papa, che ne riordina l’assetto a favore dell’evangelizzazione e di una chiesa più missionaria.

Ma, allo stesso tempo, quelle porte chiuse sono l’altra faccia del «Tollite portas» del Giubileo celestiniano inaugurato da Francesco domenica a L’Aquila, i battenti di una chiesa sempre più incerta che deve evitare il vizio capitale della chiusura. La basilica aquilana di Collemaggio, dove il papa ha celebrato la Perdonanza celestiana, rende plasticamente l’immagine della chiesa guidata da papa Francesco: un epicentro saldato nel Vangelo in un contesto che, però, porta il segno di crepe vive e la paura di scismi.

I cardinali riunitisi a Roma ne incarnano le sfide: c’è la chiesa tedesca che chiede a Roma cambiamenti radicali nella dottrina e quella dei vescovi repressi con durezza nel Nicaragua di Daniel Ortega. Si allunga la lista degli abusi su minori nelle chiese locali di tutto il mondo e l’esodo dei fedeli non risparmia neppure una baluardo del cattolicesimo europeo come la Polonia, dove in 30 anni ha lasciato la chiesa il 10 per cento dei cattolici praticanti.

Omaggio ai due papi

domenica Francesco, inaugurando il 728esimo Giubileo voluto da Celestino V – il primo papa dimissionario nella storia della chiesa – ha bussato alle porte della chiesa con un ramo d’ulivo: allo stesso modo, lunedì bussa alla chiesa con gli strumenti della misericordia e della pace. 

«Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire», ha detto nella sua omelia, arrivando ad emendare lo stesso Dante Alighieri: «Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come “colui che fece il gran rifiuto”, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia. Ma Celestino V non è stato l’uomo del “no”, è stato l’uomo del “sì”. Infatti, non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili».

È questa umiltà che il papa chiede al consesso di porporati lunedì e alla chiesa che sceglierà il suo successore martedì. Per Francesco, essere umili significa anche riconoscere i segni della profezia, come fece nel 2013 papa Benedetto XVI lasciando il soglio di Pietro. Per una strana coincidenza, nel giro di 24 ore Francesco si è fatto prossimo agli unici due testimoni che, nella storia della chiesa, hanno preferito farsi da parte in nome di un bene più grande, il vivente Benedetto e il defunto Celestino sepolto a Collemaggio: «L’umiltà non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie» ricordava domenica Bergoglio a L’Aquila.

Lo ha fatto anche sabato, davanti ai cardinali elettori freschi di creazione: «Un cardinale ama la chiesa, sempre con il medesimo fuoco spirituale, sia trattando le grandi questioni sia occupandosi di quelle piccole; sia incontrando i grandi di questo mondo, sia i piccoli, che sono grandi davanti a Dio».

Una chiesa fuori Roma

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Nel 2018 su Limes Giulio Albanese scriveva: «Con papa Francesco si afferma decisamente la teologia missionaria, quella del decreto Ad gentes del Vaticano II, dell’Evangelii nuntiandi di Paolo VI, del recupero della pervasività della parola di Dio».

Giunto al suo ottavo concistoro e a quota 131 cardinali elettori (se si esclude l’arcivescovo ghanese Richard Kuuia Baawobr, assente per malattia), Francesco consolida una visione paolina della chiesa di Roma, in cui il processo di globalizzazione diventa trasversale a quello di inculturazione del vangelo: valgano su tutto le aperture all’Asia e alla Panamazzonia, tanto quanto la scelta di cardinali che condividono la stessa idea di chiesa.

Sotto questa lente va vista la scelta di Robert McElroy, il vescovo di San Diego che con il suo afflato sociale erode l’austerità degli arcivescovi conservatori di Los Angeles e San Francisco, che non hanno neppure ricevuto la porpora cardinalizia. Al di là dell’equatore, un esempio su tutti è quello di Ulrich Steiner, l’arcivescovo di Manaus che diventa il primo cardinale a rappresentare la regione amazzonica, stretta fra l’ecosistema minacciato e l’escalation di violenze legate al narcotraffico.

In ambito asiatico, l’attenzione di Francesco è sui paesi vicini alla Cina, come sottolinea via social il gesuita Antonio Spadaro celebrando la porpora di Giorgio Marengo, missionario in Mongolia. Questi due giorni di sessioni a porte chiuse saranno, così, utili ai cardinali non solo per la formazione sul testo della nuova riforma, ma anche per conoscersi meglio. In molti casi per la primissima volta.

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