Perché andiamo a votare? Per eleggere dei rappresentanti che lavorino per noi, discutendo, studiando, presentando interrogazioni, mozioni e proposte sulle quali poi votano. Né più né meno quello che si fa nei parlamenti democratici di tutto il mondo. L’eletto ha il dovere di svolgere queste funzioni. È anche pagato per questo, e in Italia profumatamente (solo l’Austria ci supera). Come ogni impiego retribuito, esso deve essere svolto diligentemente, con impegno, dedicandovi tutte le energie e il tempo necessari.

Il presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, quando fu rapito nel marzo 1978, aveva nella borsa le tesi di tre suoi studenti. Dopo non sarebbe stato più possibile dato che in base alla legge dal 1980 i professori universitari, sono collocati in aspettativa obbligatoria se entrano in parlamento. Giusto che si concentrino solo sul loro nuovo, prestigioso incarico. Ma non si capisce perché questo non si applichi anche a tutti gli altri eletti.

In questi giorni alcuni noti parlamentari si dedicano a coltivare le loro attività professionali extra-politiche: Matteo Renzi va in giro per il mondo a promuovere, oltre sé stesso, iniziative di stati stranieri (senza averne alcuna autorizzazione, ma per un paese dei campanelli come il nostro non c’è nulla da eccepire, evidentemente); e Giulia Bongiorno, avvocato di gran fama e corrispettivi onorari, è continuamente impegnata a difendere Salvini sui migranti.

Questi non sono altro che i due esempi più recenti. Se pensiamo a come si sono comportati alcuni eletti di Forza Italia/Pdl come il re delle cliniche private Antonio Angelucci e l’avvocato di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, c’è da rabbrividire. Nella legislatura 2013-2018, Ghedini, pur pagato da noi contribuenti, ha pensato ai fatti suoi – in primis a difendere Berlusconi – tant’è che ha totalizzato il 99,28 per cento di assenze; superato solo da Angelucci con il 99,59 (fonte Open Polis). Un record mondiale, probabilmente.

Al di là di situazioni estreme come queste, il problema più generale riguarda la compatibilità della carica elettiva con impieghi remunerativi. Così come i professori non possono giustamente sottrarre tempo al loro impegno parlamentare, non si vede perché questo divieto non debba essere esteso a qualsiasi altra professione. Chi vuole entrare alle camere deve dedicarsi anima e corpo a questo compito.

La politica va rivendicata come una nobile attività da svolgere, come dice la Costituzione, con disciplina e onore. Se ha perso tanto credito è proprio perché è stata inquinata dai tanti che l’hanno considerata come una sinecura o un trampolino per aumentare i propri guadagni, e non come un incarico da dedicare, in linea di principio almeno, al bene comune. Sarebbe ora che si intervenisse a restituire pienezza di dignità alla rappresentanza imponendo il divieto di ogni altra professione. Ne guadagnerebbe la credibilità delle istituzioni.

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