Recentemente la presidente Giorgia Meloni ha detto a Catania: «L’evasione devi combatterla dove sta: big company, banche, non sul piccolo commerciante a cui chiedi il pizzo di stato solo perché devi fare caccia al reddito più che all’evasione fiscale», definendo così le tasse come un pizzo di stato. Dunque lo stato si identifica con la mafia. I dati del ministero dell’Economia poi dicono che l’evasione è soprattutto delle piccole imprese, professionisti e artigiani, quelli che il governo aiuta ad evadere con la flat tax. Meloni si metta d’accordo con Giorgetti. Un’altra stonatura in materia fiscale si trova nel messaggio videotrasmesso al Festival dell’Economia di Trento.

Di fronte a eminenti economisti, la presidente ha timidamente ammesso che la flat tax è archiviata, poi per non scontentare Salvini ha detto che il governo si concentra sul taglio al cuneo fiscale. I lavoratori che ricevono un salario di cinque euro all’ora non fanno filosofia, faticano ad arrivare alla fine del mese. Raramente si è visto in passato una tale confusione in materia fiscale da parte di un governo. Paragonare le tasse a un pizzo di stato significa beffarsi della Costituzione, dei principi stessi sui quali si basa l’esistenza di uno stato.

Un governo responsabile dovrebbe sapere che le entrate di uno stato sono rappresentate solo da entrate tributarie (Irpef, Ires, ecc.), extra tributarie (per servizi resi) e una modesta voce di varie. Per il 2023 il bilancio dello stato prevede 586 miliardi di entrate tributarie, 86 miliardi di entrate extratributarie e 399 milioni di entrate varie.

Il totale di queste entrate consente una spesa pubblica che dovrebbe assicurare ai suoi cittadini un servizio sanitario, un servizio scolastico, un sistema pensionistico, una giurisdizione efficiente e giusta, una pubblica amministrazione che renda servizi rapidi, efficienti apparati di difesa e sicurezza, il mantenimento di organi e autorità indipendenti che vigilino sul funzionamento dello stato, come la Corte dei conti e l’Autorità anticorruzione che questo governo vorrebbe cancellare. Infine le entrate tributarie servono anche a pagare gli interessi passivi sui debiti contratti dallo stato per la realizzazione delle sue politiche.

Un governo responsabile dovrebbe innanzitutto avere il faro della Costituzione per le sue decisioni. Principio cardine della Costituzione per la formazione del bilancio dello stato è l’articolo 53 che stabilisce: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività», articolo sempre più richiamato perché l’azione dell’attuale governo pare orientata esattamente all’opposto di quanto stabilito dall’articolo 53.

Se si vuole rispettare il dettato costituzionale non si può pensare a una tassa piatta, non si devono tassare in misura minore le rendite finanziarie e quelle immobiliari, non si può non aggiornare il catasto, non si può non rivedere la tassa di successione, non si possono fare condoni fiscali. Il governo dovrebbe cercare di sradicare quel pensiero sbagliato che lo stato è ancora quello di Franceschiello o austriaco e che quindi si possono evadere le imposte. Il dramma è che il governo con le affermazioni della sua presidente Giorgia Meloni che paragona le tasse a un pizzo di stato, pare sostenere proprio quel pensiero.

Lo stato siamo noi e pagando le tasse dovremmo pretendere di ricevere i servizi che ci spettano. Il quadro delineato ci dice che l’attuale governo ignora il dettato costituzionale in materia di bilancio e di spesa pubblica, che le disuguaglianze sociali sono destinate ad aumentare, che nulla verrà seriamente fatto contro l’evasione fiscale e che si continuerà con una politica diretta a raccogliere consensi che, come ci dice la ricerca del CISE sulle ultime elezioni politiche, per i tre partiti di governo sono i consensi della classe più bassa come livello di istruzione. E questo spiega molte cose.

© Riproduzione riservata