Gli incendi devastano mezzo Pianeta. Lo si vede in questi giorni cosa sta succedendo: Siberia, California, e Grecia sono in ginocchio di fronte ai roghi. E in Italia, la distruzione del nostra vegetazione – boschi, macchia mediterranea, alberi secolari - oltre agli animali in pericolo, costa vite umane e un patrimonio unico al mondo: in fumo però, insieme a tutta questa ricchezza, se ne vanno anche risorse economiche per la collettività, calcolate in almeno 10mila euro per ettaro.

Costi che si sommano all’emergenza per le operazioni di spegnimento, senza contare quelli per le attività di ripristino dell’ecosistema su pesa anche il segno del tempo (ci vogliono non meno di una quindicina d’anni). Ora, in Calabria la situazione è fuori controllo, la Sardegna ha già pagato un prezzo altissimo, e poi ancora l’Abruzzo, la Sicilia, la Campania, il Lazio, il Molise. Le fiamme divampano, ovunque.

La colpa, in oltre il 70 per cento dei casi, è dell’uomo: il 57,4 per cento degli incendi sono dolosi e sono quelli che hanno gli effetti più devastanti, il 13,7 per cento non è intenzionale, e quindi sono colposi per mancanza di cultura. I numeri – diffusi da Legambiente che anticipano il rapporto Ecomafia - sono impietosi: gli incendi dolosi e colposi nel 2020 sono stati 4.233 e hanno toccato oltre 62mila ettari, le persone denunciate sono state 552, gli arresti 18, e 79 i sequestri.

Quindi la colpa nella maggioranza dei casi è dei piromani, veri e propri delinquenti che – ahimè – trovano un contesto evidentemente favorevole in un ambiente già fragile. Terreni più secchi che aiutano l’accensione dei roghi, venti più forti e (molto) più caldi che contribuiscono alla propagazione.

E ancora una volta l’inciviltà, la mancanza di cura e di educazione (in alcuni casi), ma più di tutto l’inerzia: soprattutto in prevenzione, manutenzione, e controlli. E poi due elementi che spesso dimentichiamo. In Italia una legge c’è, semplicemente andrebbe applicata: è essenziale che i Comuni completino in tempi rapidi l’aggiornamento del catasto delle aree percorse dal fuoco, dove non è possibile più far nulla. Il secondo punto su cui riflettere è forse il ritorno del Corpo Forestale, una vera forza al servizio della natura. In questo senso come non si può non condividere l’appello del capo della Protezione civile Fabrizio Curcio sulla necessità di concentrarsi su prevenzione, sorveglianza delle aree e avvistamenti, su presidio del territorio, e su investimenti nella tecnologia.

La scienza ce lo dice da tempo. L’ultimo campanello d’allarme è stato suonato dall’Ipcc, il panel di scienziati che studiano i cambiamenti climatici su mandato delle Nazioni Unite, tanto che – come lo ha definito il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres – il nuovo rapporto è «un codice rosso per l’umanità».

Il combinato disposto di riscaldamento globale e cambiamenti climatici, porta a conclusioni drammatiche: i danni sono irreversibili, la concentrazione di CO2 nell'aria non è mai stata così alta in due milioni di anni, ed è inequivocabile che la responsabilità è attribuibile alle attività dell'uomo. Siamo di fronte a una catastrofe. Ma possiamo ancora evitare il baratro.

Una sola strada

Una solo strada è quella percorribile: per cercare in qualche modo di uscirne servono riduzioni rapide (entro i prossimi 10 anni) dei gas serra più tremendi (CO2, metano, biossido di azoto). Solo così si potrà limitare l'aumento medio della temperatura entro 1,5-2 gradi al 2100, come chiede l’accordo di Parigi.

Diversamente, questo obiettivo sarà fuori da ogni portata, facendo aumentare il rischio di eventi meteo estremi. I danni sono enormi: soltanto nei primi sei mesi dell’anno, quelli dovuti a eventi estremi legati al clima raggiungono costi assicurativi per 40 miliardi di dollari (abbondantemente superata la media degli ultimi 10 anni, che era di 33 miliardi di dollari).

Ce li ricordiamo gli eventi peggiori di questi ultimi mesi, la tempesta invernale Uri negli Stati Uniti, le gravi alluvioni che hanno colpito l'Europa soprattutto in Germania, Belgio, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, e Svizzera, il caldo estremo di fine giugno in tutto l'ovest del Canada e degli Stati Uniti.

Allora incastriamo per beni i pezzi, completiamo il quadro non lasciando caselle libere. Oggi ne abbiamo la possibilità. Ci sono le risorse del Recovery. La prima dose di 24,9 miliardi è appena arrivata; un anticipo del 13 per cento dei 191,5 miliardi del totale che spettano al Paese fino al 2026 (tutto il pacchetto di risorse con i vari fondi arriva a 239 miliardi).

Basterebbe ricordare che il 37 per cento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è diretto a garantire la transizione verde. Non serve aggiungere altro, rispetto a quello che si può, e si deve, fare. C’è anche il Green deal, l’ambiziosa sfida che la commissione

Europea targata Ursula von der Leyen ha lanciato alla comunità internazionale, insieme con il nuovo pacchetto clima e energia ‘Fit for 55’ che spinge sull’acceleratore sia gli obiettivi che i tempi di riduzione delle emissioni di CO2. Quest’anno c’è poi la Cop26, la più promettente dopo quella di Parigi, a novembre dove sediamo alla co-presidenza insieme con la Gran Bretagna. E, non dimentichiamo che quest’anno abbiamo in casa, il vertice del G20 che già ha messo sul tavolo alcuni impegni, con tante altre promesse da mantenere. Se incastriamo bene tutti i pezzi, abbiamo sì i problemi ma abbiamo pronte anche le soluzioni. Impieghiamole al meglio queste risorse. Che servono per ripartire sì, ma anche per rinascere senza commettere gli stessi errori di prima.

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