Dopo due anni di emergenza legata alla pandemia, quando si stavano vedendo chiari segni di ripresa economica, sono intervenuti due fatti: una crescita dell’inflazione (6,9 per cento a maggio su base annua) e le conseguenze della guerra russo-ucraina, che lasciano intravedere il rischio di una stagflazione espressa da riduzione del Pil, aumento dell’inflazione e contrazione dei consumi.

Una delle cause principali di questo quadro è stato l’aumento del prezzo dell’energia che si è riflesso su tutto il processo produttivo, compreso quello dei generi alimentari, quindi sui consumi delle famiglie. Sui generi alimentari ora incide anche la guerra del grano in atto nel teatro ucraino.

A questo occorre aggiungere l’aumento del costo dei prodotti importati, “una tassa ineludibile” nella definizione del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, una tassa che riduce anche i profitti delle imprese e rende più povero il paese.

L’inflazione

L’inflazione diminuisce il potere di acquisto delle famiglie, specialmente quelle più povere che dispongono di un reddito insufficiente ad assorbire l’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione.

Molte famiglie hanno già ridotto i consumi e rimandato l’acquisto di beni durevoli.

Lo stato deve dunque trovare gli strumenti per proteggere il potere di acquisto delle famiglie.

Bisogna capire come governare l’inflazione, in particolare quella importata dall’aumento dei prezzi dei beni energetici, e soprattutto come distribuire i suoi effetti sulle diverse classi sociali e sugli attori del mondo produttivo.

Per questa distribuzione occorre effettuare un  efficace controllo sulla formazione dei prezzi per evitare che le imprese applichino un mark-up anche sul maggior costo dell’energia.

I possibili interventi

Il governo ha varato un decreto “aiuti” che eroga bonus modulati sulla situazione economica delle famiglie per sostenere quelle più bisognose.

Si potrebbe poi adottare una politica fiscale espansiva con il taglio del cuneo fiscale, ma senza compromettere la sostenibilità del debito nel medio periodo.

Infine, oltre alla riduzione delle accise,  lo stato dovrebbe reperire fondi dai profitti ed extra-profitti delle società statali dell’energia, come Eni ed Enel, magari con la riduzione della bolletta energetica delle famiglie.

I salari

Nell’ottica di ridurre l’effetto dell’inflazione sulle famiglie, si è toccato anche il delicato tema dei “salari”. In questi giorni è stato spesso ricordato che negli ultimi 30 anni il potere di acquisto dei salari italiani è diminuito del 2,9 per cento, contro un aumento del 30 per cento di quelli francesi e del 34 per cento di quelli tedeschi.

C’è chi ha suggerito un ritorno alla “scala mobile”, un meccanismo automatico di adeguamento dei livelli salariali all’inflazione che esisteva 50 anni fa.

Oggi l’azione più efficace potrebbe essere quella di impostare le relazioni industriali e il rinnovo dei contratti collettivi scaduti (62 per cento del totale) col fine di proteggere il potere di acquisto dei salari in un periodo di inflazione crescente.

Sarebbe comunque opportuno approvare al più presto una legge sul salario minimo sulla base della direttiva comunitaria oggetto di un recente accordo.

L’Italia non sarà obbligata ad applicarla grazie ai contratti collettivi estesi a oltre il 90 per cento dei lavoratori, ma in tali contratti non sono compresi i cosiddetti “lavori poveri” o quelli precari che potrebbero così godere di un salario minimo da destinare ai consumi.

Il ruolo della grande distribuzione 

La grande distribuzione può giocare un ruolo determinante per creare uno scudo anti carovita.

Le aziende del settore sono impegnate ad attenuare gli effetti inflattivi, consapevoli del ruolo sociale che da sempre ricoprono nella tutela del potere di acquisto delle famiglie.

Sarebbe auspicabile, però, che le iniziative, che la grande distribuzione vorrà prendere per attenuare l’effetto dell’inflazione sul carrello della spesa, fossero adottate concordemente per evitare che le insegne più performanti adottino politiche commerciali così aggressive da creare eccessivi danni ai competitor o ai fornitori di beni e servizi.

Il problema dell’adeguamento dei prezzi, se non gestito correttamente e in modo trasparente, rischia di compromettere seriamente il rapporto tra le imprese a monte e a valle della filiera. Soprattutto il loro equilibrio economico e occupazionale.

© Riproduzione riservata