Nel corso della primavera del 2022 lo Sri Lanka è stato vittima della più grave crisi economica che avesse mai colpito il paese, caratterizzata da un’inflazione galoppante e dal conseguente aumento dei costi dei beni di prima necessità che ha fiaccato una popolazione già ampiamente provata da numerose difficoltà.

La risposta dei cittadini si è concretizzata in una massiccia protesta contro l’allora presidente Gotabaya Rajapaksa, il quale, dopo essere stato eletto nel 2019, aveva aumentato a dismisura i propri poteri presidenziali, trasformando la compagine governativa in una sorta di appendice della sua famiglia e, soprattutto, rendendosi responsabile di una gestione talmente inappropriata dell’economia al punto da condurre il paese a dichiarare la bancarotta per la prima volta in assoluto dalla conquista dell’indipendenza nel 1948.

Immediatamente, quindi, il tracollo economico si è trasformato in una profonda crisi politica: Rajapaksa aveva cercato di difendersi dichiarando lo stato di emergenza, imponendo il coprifuoco in tutta l’isola e dispiegando le forze di sicurezza, ma senza riuscire ad arginare la rabbia dei manifestanti, che erano riusciti a occupare gli uffici presidenziali, chiedendo a gran voce le dimissioni del capo dello stato.

La successiva fuga di Rajapaksa, e le sue successive dimissioni, aveva portato alla scelta dell’ex-primo ministro Ranil Wickremesinghe come nuovo presidente.

La situazione economica, tuttavia, non aveva subito alcun netto miglioramento, conducendo il nuovo esecutivo a rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per l’ottenimento di un sostanzioso aiuto.

Le radici della crisi

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La crisi dello Sri Lanka rappresenta la diretta conseguenza di numerosi fattori economici e politici che hanno continuato a sobbollire per decenni.

Il paese, infatti, oltre a trovarsi costantemente al centro di instabilità e stagnazione economica ha sofferto di un disavanzo strutturale nella bilancia dei pagamenti e, di conseguenza, di una riduzione nella riserva valutaria dovuta alla disastrosa gestione dell’economia e alla pervasiva quanto insanabile corruzione che serpeggiava all’interno delle istituzioni.

A partire dagli anni Novanta, inoltre, i governi populisti succedutisi hanno indugiato nella malsana concessione di esenzioni fiscali alle classi sociali più facoltose, alle multinazionali e ad alcune imprese sociali che ha portato a un costante assottigliamento del gettito fiscale.

Una situazione di tal fatta ha comportato un calo del rapporto spesa/prodotto interno lordo che ha richiesto il finanziamento del deficit.

L'accesso limitato ai prestiti agevolati da parte di partner bilaterali e multilaterali, in seguito al passaggio del paese a una condizione di “medio reddito”, ha costretto Colombo a rivolgersi ai mercati internazionali per ottenere prestiti commerciali volti a finanziare le proprie esigenze, soprattutto nel settore delle infrastrutture.

Di conseguenza, il rapporto debito/prodotto interno lordo, che era diminuito nel 2009, ha ripreso ad aumentare nel 2014.

I continui shock esogeni ed endogeni verificatisi a partire dal 2018 hanno esacerbato la situazione, anche se il punto di non ritorno è stato rappresentato dai passi falsi nella gestione del paese da parte dell’amministrazione Rajapaksa.

La decisione di quest’ultimo di ridurre l’imposta sul valore aggiunto dal 15 per cento all'8 per cento ha comportato il declassamento dello Sri Lanka a categoria di investimento "a rischio sostanziale" nel 2020, chiudendo di fatto le porte ai mercati finanziari internazionali.

Il successivo arrivo della pandemia ha peggiorato lo stato delle cose, finendo per avere un impatto drammatico sulle esportazioni, sulle rimesse e sulle importantissime entrate del settore turistico.

Il divieto di utilizzare fertilizzanti chimici, giustificato dal pretesto di passare all'agricoltura biologica, ha influito sulla resa delle terre, contribuendo a causare una forte carenza di cibo.

L'industria del tè, una delle principali fonti di valuta estera, ha visto il suo rendimento dimezzarsi, mentre l'aumento del prezzo del carburante, dovuto alla guerra in Ucraina, ha aggravato la situazione.

Il risultato di tutto ciò è stato un forte calo delle entrate statali, una drastica contrazione delle riserve statali e un aumento delle importazioni.

Il salvataggio a metà

La continua carenza di beni di prima necessità, tra cui cibo, medicine e carburante, l'iperinflazione e le prolungate interruzioni di corrente, ha costretto il governo a non tenere fede ai pagamenti internazionali nell'aprile 2022.

Dopo aver ignorato gli appelli degli esperti a chiedere l'assistenza del Fmi, lo Sri Lanka ha iniziato a negoziare un fondo di salvataggio nell'aprile 2022.

Il 12 aprile 2022, durante le trattative, lo Sri Lanka ha temporaneamente sospeso il pagamento del debito estero come misura preventiva.

Qualche giorno addietro, il Fmi ha finalmente sbloccato la concessione di un prestito pari a tre miliardi di dollari – su cui un accordo preliminare era stato raggiunto nel settembre 2022 – nella speranza che ciò possa servire nella duplice disperata impresa di stabilizzare il paese da una parte, ripristinando nel breve periodo la sostenibilità del debito e, dall’altra, mitigare gli effetti della crisi sui meno abbienti e sui più vulnerabili.

Il prestito è stato ovviamente condizionato all’adozione di numerose riforme strutturali indirizzate al contenimento della spesa pubblica: il governo ha quindi deciso, tra le altre cose, di aumentare le tasse, procedere all’introduzione di misure anticorruzione e privatizzare alcune imprese statali.

Ciò ha condotto, naturalmente, all’insorgenza di proteste diffuse in tutto il paese guidate dai sindacati, i quali vedono come fumo negli occhi le recenti misure introdotte dall’esecutivo.

Nell’immediato, quindi, pioverà nelle casse di Colombo una prima tranche di aiuti pari a 333 milioni di dollari.

In realtà, lo Sri Lanka sperava di poter fruire del prestito entro la fine dell'anno scorso, o almeno al principio del 2023, ma il processo è andato trascinandosi, soprattutto perché era necessario ottenere delle garanzie di finanziamento da parte di Cina (che da sola detiene circa il 20 per cento del debito estero dello Sri Lanka), Giappone e India, i tre principali creditori bilaterali di Colombo.

Il FmiI, infatti, aveva subordinato il suo programma alla cooperazione di questi attori.

Buco senza fondo

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Anche successivamente alla razionalizzazione delle spese imposta dal Fmi, Colombo spende ben oltre un miliardo di dollari al mese solo per le importazioni essenziali, è dunque difficile pensare che l’elargizione di 2,9 miliardi di dollari, per un periodo di quattro anni, possa essere sufficiente a sovvertire le sorti del paese.

Tuttavia, la concessione del finanziamento può aiutare lo Sri Lanka a diventare più meritevole di credito agli occhi dei finanziatori globali, siano essi agenzie multilaterali come la Banca mondiale o la Banca asiatica di sviluppo, partner bilaterali o creditori privati.

Il governo di Colombo spera che in virtù della concessione del finanziamento dell'Fmi possa tornare a chiedere prestiti.

Coloro che criticano il ricorso al Fondo Monetario Internazionale, invero una minoranza, considerano il pacchetto come parte del problema e non come la soluzione.

Essi temono che le misure di austerità collegate infliggeranno un colpo ferale sulla popolazione e, in particolare, per la classe operaia, certamente la più colpita dalla crisi.

Il governo, intanto, è stato duramente criticato per il recente rinvio delle elezioni amministrative, tanto che diversi sondaggi indicano un aumento significativo del sostegno ai partiti dell'opposizione.

Prima l’economia che la democrazia

Tuttavia, per la comunità imprenditoriale l'amministrazione Wickremesinghe costituisce un simbolo di stabilità: nella loro opinione la democrazia può aspettare dato che la ripresa economica è più urgente di qualunque rinnovamento politico.

Per molti altri, però, Wickremesinghe, rappresenta la continuità di un ordine politico contro il quale è lecito posizionarsi, soprattutto perché con un'inflazione che continua a superare il 50 per cento, più di un terzo delle famiglie dello Sri Lanka si trova ormai, secondo le stime del Programma alimentare mondiale, in una condizione di insicurezza alimentare.

Mentre il governo procede con le sue misure di austerità, resta quindi da vedere se è in grado di fornire sostegno ai suoi cittadini più vulnerabili.

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