«Se nel mondo esistesse un po' di bene e ognun si considerasse suo fratello, ci sarebbero meno pensieri e meno pene e il mondo ne sarebbe assai più bello». Così diceva il poeta, e come dargli torto? 

Certo, una massiccia iniezione di benevolenza renderebbe la vita sociale più sopportabile. Questa convinzione dovrebbe guidare il progetto educativo di ogni genitore. Ma chi accompagna il genitore in questo progetto? Chi elabora, chi trasmette i "buoni" codici di comportamento? E chi assicura che tutti quanti facciano la loro parte?

Qualcosa fa la cultura familiare che ognuno eredita, qualcosa fa la scuola. Ma non basta. Il mondo sociale continua a essere teatro di pene e pensieri, conflitti e prepotenze. Ci manca una bussola. E di certo non potremo affidarci all’autore della poesia succitata, ovvero Pietro Pacciani, il “mostro di Firenze”, a meno di separare l’opera dall’artista.

La lezione di Pinocchio

Alcuni libri tentano di venirci in soccorso. Ne sfoglio uno appena uscito, Consenso, possiamo parlarne? (edizioni settenove), che si presenta proprio come una specie di manuale di benevolenza.

Secondo l'autore, l'inglese Justin Hancock, la società funzionerebbe meglio se tutti rispettassero la sacralità dell'altrui consenso, non solo nel sesso ma in tutte le circostanze della vita quotidiana. Ad esempio, se scegliamo una pizza deve piacere sia a me che a te. Banale? Non così tanto. Quanto alle questioni relative al sesso, è effettivamente urgente dotare giovani e meno giovani di un codice di comportamento condiviso se vogliamo prevenire l'aumento di abusi e contenziosi. 

Libri come Consenso provano nel loro piccolo a colmare il vuoto normativo in cui cresce l'individuo contemporaneo. Il suo tono da predica laica può prestare a ironie - sembra scritto da Ned Flanders, il vicino che saluta Homer Simpson con il suo lezioso "Salve salvino” - ma qualcuno dovrà pure aiutarci a fissare le regole del gioco. Servirà? Non molto fintanto che tali libri verranno letti solo da una minuscola minoranza della popolazione. 

Contro gli sforzi delle famiglie, della scuola, dei manuali di comportamento e dei riformatori morali, remano altre agenzie di socializzazione: la televisione, i social, le cerchie di amici… Da una parte si enunciano dei principi di convivenza, dall'altra si spinge a infrangerli. In fondo è la morale di una storia che conosciamo tutti, quella di Pinocchio, allegoria dello scontro tra etica sociale e pulsioni individualistiche.

Prendiamo l'esempio delle parolacce: a tutti viene insegnato che non si devono dire, ma tutti le dicono sempre e ovunque.

Idem per le sigarette, l'alcool, le droghe leggere, che non si dovrebbero consumare e invece si consumano. Lo stesso vale per i comportamenti prevaricatori nei confronti dei più deboli, incessantemente stigmatizzati e continuamente reiterati.

Una cavalcata solitaria

Perché questa discrepanza tra la norma astratta e la pratica concreta? Forse perché nella società dei consumi le condotte devianti sono premiate più di quanto non siano sanzionate, almeno nel breve termine: danno piacere, sicurezza, vantaggio.

In economia si chiama free-riding, e indica il beneficio che trae chi si sottrae a una regola rispettata dagli altri. Il meccanismo è evidentemente all'opera nei gruppi di adolescenti e preadolescenti, che alla legge castratrice contrappongono la logica pulsionale del branco. Ma spesso sono gli stessi genitori a ritenere che certe regole di comportamento siano più che altro una zavorra.

Chi mette il bene comune davanti al proprio interesse, soprattutto in Italia, porta con sé l'atroce sospetto di essere l'unico fesso a farlo.

L'esatto contrario del free-riding sarebbe a rigor di logica il lone riding, la cavalcata solitaria del genitore che si ostina a insegnare la benevolenza. Ma non vorremmo che la solitudine educativa si trasformasse in nevrosi.

Indizi di questa brutta china si trovano già nel libro di Hancock, che da bravo riformatore anglosassone dedica un intero capitolo a stigmatizzare come "non consensuali" le convenzioni di saluto meridionali: baci e abbracci. Un sospetto di colonialismo culturale può sorgere. In fondo, il familismo amorale potrebbe ambire a essere riconosciuto come patrimonio immateriale Unesco. 

Alla fine si torna sempre allo stesso problema: chi fissa le regole? Esiste una misura neutrale della benevolenza? Altrimenti bisognerà riconoscere che la norma è solo un’altra e più subdola legge del più forte, e la devianza soltanto una forma di resistenza.

© Riproduzione riservata