C’è un cambiamento antropologico in atto in Europa e Usa. Le nuove generazioni e i discendenti arabo-musulmani non hanno la stessa sensibilità registrata in passato. Occorre trasmettere la storia e la memoria e va separato il giudizio storico di fondo da quello sulla politica del governo Netanyahu, certamente criticabile
Forte polemica tra Israele ed europei attorno ai fatti di antisemitismo. Ma la novità è che l’assassinio dei due diplomatici israeliani a Washington rappresenta un segnale preoccupante: ora nemmeno gli Stati Uniti sono al riparo dall’antisemitismo.
Finora era stata l’Europa a produrre il maggior numero di attacchi contro gli ebrei; adesso entra nel novero anche il paese con la più importante diaspora ebraica mondiale. Come dicono molti commentatori, una delle cause è l’inasprirsi della guerra a Gaza, giunta quasi al suo seicentesimo giorno e di cui non si vede la fine ma solo si percepisce un immane massacro dalle immagini (anche quando non si vuol credere alle cifre). Non è una spiegazione sufficiente: antisemitismo e antigiudaismo sono radicati e sotterranei e rispuntano endemicamente senza dipendere solo da ciò che accade sul terreno.
Preoccupa dal punto di vista politico che Europa e Israele siano al livello più basso delle loro relazioni. È possibile che a giugno prossimo Francia e Gran Bretagna riconoscano ufficialmente lo stato palestinese, come fatto di recente dalla Spagna e dalla Norvegia. Ciò non muterebbe quasi nulla dal punto di vista concreto ma rappresenterebbe una rottura significativa tra Gerusalemme e importanti capitali europee, le cui conseguenze si vedrebbero più in là.
Tuttavia, ancora prima di questo, a spiegare l’attuale situazione è in primis il cambiamento sociologico in atto: ci sono sempre più discendenti arabo-musulmani sia negli States che in Europa e ciò cambia le percezioni e le emozioni popolari. Tale constatazione parte dai cittadini a pieno titolo (senza considerare per ora la questione immigrati che apre altri interrogativi) ai quali tuttavia sembra mancare (del tutto o in parte) la radice culturale storica nei confronti degli ebrei.
In altre parole si tratta di cittadini influenzati piuttosto dalla geopolitica e dalle emozioni dei loro paesi di provenienza che non dalla storia europea (ereditata anche in America). Qui si pone una questione grave: nel processo integrativo sembra che la parte storica riguardante gli ebrei (pogrom, antisemitismo storico, guerra e Shoà) non abbia trovato spazio, non sia stata trasmessa. Ciò vale anche per i giovani in genere. Si tratta quindi di cittadini privi dell’elaborazione culturale (e religiosa) fatta dal secondo dopoguerra in avanti a riguardo della convivenza con gli ebrei e dell’antisemitismo storico.
C’è meno consapevolezza dei crimini commessi (incluso l’abisso della Shoà) o addirittura ci si rifiuta di assumersi tale eredità. Da segnalare che tale carenza di trasmissione è favorita anche dal decadimento della cultura storica nelle nostre scuole. Non si fa mai abbastanza clamore contro i tentativi di eliminare la storia dai programmi scolastici. C’è anche il tema del passaggio da una cultura umanistica ad una a prevalenza tecnologico-scientifica, eludendo i passaggi storico-culturali necessari a fare un buon cittadino. Il fatto che nelle nostre università si punti all’insegnamento solo in inglese ne è un segnale d’allarme, non per l’inglese stesso ma per il declino della cultura umanistica e classica.
Gravi i danni sui giovani; esiziali sui discendenti da altri continenti. Poca storia, poco umanesimo culturale e poca letteratura costruiscono una generazione più arida facilmente manipolabile da posizioni ideologiche, in questo caso anti-ebraiche. Ne sono la prova il fatto ad esempio che si torni a dire che Israele sia uno stato “coloniale” mentre è stato approvato da una vasta maggioranza alle Nazioni Unite.
Va separato il giudizio storico di fondo da quello sulla politica del governo Netanyahu, certamente criticabile. Tale separazione sembra quasi impossibile in tempi di politica emozionale, eppure va fatta: il sionismo è un nazionalismo in tutto simile a quello di ogni altro paese. Si può ammalare di estremismo, come accade ora, ma ciò non pregiudica la sua legittimità. Rappresenta anzi un segno premonitore per le nostre democrazie.
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