Sono passati quasi cinquant’anni dal 22 novembre 1973, quando il governo Rumor varava il decreto Austerity. Un intervento che comprendeva una serie di provvedimenti per risparmiare dell’energia, come il blocco alla circolazione delle auto di domenica, l’abbassamento della temperatura degli impianti di riscaldamento, la chiusura anticipata di negozi e uffici. Dopo quasi dieci lustri nel nostro paese ritorna ad aleggiare lo spettro dell’austerity, almeno per una parte significativa delle famiglie.

Un taglio alle spese

Il 49 per cento degli italiani ha eliminato o ridotto le spese non necessarie. Il taglio più deciso lo ha dato il 16 per cento, che ha soppresso tutte le spese non strettamente necessarie. Un ridimensionamento che sale al 21 per cento tra gli over 50 e vola al 34 per cento nei ceti popolari.

La sforbiciata alle spese, meno radicale, l’ha data anche un altro 33 per cento delle persone, specie tra quanti si collocano nel ceto medio basso, ovvero nella quota di italiani che ha perso la stabilità e le certezze di un tempo e che sono scivolate via, dal punto di vista della collocazione sociale, dal ceto medio.

I principali motivi per cui si è acuita negli ultimi mesi, in base alle ricerche dell’osservatorio centro studi Legacoop - Ipsos, la necessità di ridurre i consumi o a intaccare i risparmi sono due: l’aumento dei prezzi e delle bollette; il rischio di perdere il lavoro o l’incertezza occupazionale.

Il 59 per cento degli italiani, afferma di aver dovuto in qualche modo erodere i propri risparmi o tagliare le spese in seguito all’aumento di gas ed elettricità. Una scelta cui sono ricorsi in particolare nel centro Italia (67 per cento) e tra i ceti popolari (65 per cento).

La riduzione dei consumi imposta dall’aumento dei prezzi, in primis dei prodotti alimentari, è denunciata dal 49 per cento delle persone. Una rivisitazione della spesa che ha coinvolto le famiglie che si collocano nei ceti popolari (54 per cento) e quelle dei ceti medio-bassi (51 per cento).

Il ceto medio

Solo nel ceto medio la rimodulazione degli acquisti è al di sotto della media nazionale e si colloca intorno al 35 per cento. Il dato, purtuttavia, mostra che l’attuale congiuntura di incremento di prezzi e tariffe sta incidendo anche sul ceto medio, con oltre un terzo delle famiglie economicamente tranquille che ha già definito e sta rimodulando al ribasso le proprie strategie di acquisto.

A contribuire, in modo deciso, alle nuove dinamiche di austerity non sono solo gli incrementi tariffari e dei prezzi, ma il ben più profondo problema delle dinamiche del lavoro. Il 36 per cento degli italiani, infatti, denuncia di essere stato costretto a ridurre i propri acquisti o a intaccare i risparmi a causa della riduzione delle entrate familiari o della diminuzione dello stipendio.

Il dato già preoccupante nella sua dimensione media, mostra tutte le discrasie del sistema Italia se osserviamo i segmenti maggiormente colpiti. In primo luogo i restringimenti nelle entrate hanno coinvolto le donne (40 per cento), le persone che fanno parte del ceto medio-basso (40 per cento) e le persone che, pur avendo un’occupazione, si sono viste assottigliare le entrate a causa della cassa integrazione (15 per cento) o per la perdita completa del lavoro (14 per cento).

Dal punto di vista territoriale è il nord l’area del paese in cui maggiore si avverte la sofferenza e la spinta verso dinamiche di austerity a causa della riduzione del reddito da lavoro (43 per cento).

Il quadro di difficoltà delle famiglie si è accentuato con l’esplodere della guerra russo-ucraina. Il 31 per cento degli italiani ritiene che a causa delle conseguenze economiche del conflitto ci sarà un’ulteriore riduzione del potere di acquisto della propria famiglia. Una contrazione che nei ceti popolari arriva al 36 per cento.

Non a caso, proprio tra i ceti popolari, troviamo il 24 per cento delle persone che ha iniziato a fare delle scorte e il 17 per cento sta pensando di ritirare i risparmi messi in banca, per paura di perdere quel poco che negli anni è riuscito a mettere da parte.

Dopo due anni di pandemia, l’aumento di prezzi e bollette, nonché lo scoppio della guerra russo-ucraina rischiano di generare, in ampie fasce del paese, un senso opprimente del futuro, in la crisi, come afferma il filosofo e psicanalista Miguel Benasayag, «non è più l’eccezione alla regola, ma è essa stessa regola nella nostra società».

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