Da qualche giorno si discute sull’opportunità o meno che il governo Draghi cancelli il cashback. Qualche settimana fa, invece, si dibatteva sulla proposta di Enrico Letta di destinare una dote ai diciottenni. E ancora adesso, infine, i giovani possono usufruire del bonus cultura introdotto dal governo Renzi.

L’ultimo arrivato fra i bonus è la possibilità per gli italiani residenti all’estero (e registrati all’Aire) di poter visitare gratis musei e siti archeologici pubblici per il triennio 2021-2023. Si tratta di una misura, introdotta nella legge di Bilancio 2021 e promossa da dalla deputata del Partito democratico Francesca La Marca (eletta nella circoscrizione Estero).

L’obiettivo dichiarato di questa misura è incentivare i flussi turistici di ritorno. Si tratta di un intervento dal costo contenuto (il fondo annuale ammonta a 1,5 milioni di euro); tuttavia, l’idea di sussidiare la visite ai musei per gli espatriati rafforza un approccio più generale alla politica economica, basato sull’elargizione di bonus e sconti a specifici gruppi piuttosto che sul disegno di un piano organico per lo sviluppo e la crescita del paese. Nello specifico, emergono due considerazioni principali, una più strettamente legata al bonus e una più generale.

Non è un vero sostegno

In primo luogo, sorprende come si possa immaginare che una politica del genere possa qualificarsi come un sostegno al settore della cultura e dell’arte. È vero che la platea di potenziali beneficiari è ampia – gli iscritti all’Aire sono oltre 5,5 milioni – ma quanti di questi rientra regolarmente in Italia, e quanti sono al corrente della misura e visiteranno un museo solo perché è gratis? Ma soprattutto, quanti dei turisti che arriveranno, per esempio, in tutto il 2021, non sarebbero venuti se non ci fosse stato questo sussidio?

Quest’ultimo è un punto centrale, che riguarda anche altri interventi simili come quelli menzionati sopra: interventi di questo tipo, e per i quali si dichiara un obiettivo chiaro, sono giustificabili se è possibile misurarne gli effetti. Certo, la speranza è che la misura porti risultati positivi, ma anche in caso di fallimento, la misurazione fornisce comunque informazioni, per esempio sull’opportunità di prolungare o eliminare la misura, e magari considerarne altre. Nel caso del bonus musei, misure alternative dirette a tutti i potenziali turisti, come l’estensione gli orari di apertura, sovvenzioni per gli spostamenti (magari attraverso sconti sui biglietti ferroviari) e iniziative come le domeniche gratis ai musei (appena sarà possibile riprenderle) potrebbero avere effetti maggiori sulle visite ai musei e ai siti archeologici e stimolare la domanda di cultura e eventi artistici.

A questo proposito, uno studio di Roberto Cellini e Tiziana Cuccia ha mostrato come le domeniche gratis ai musei abbiano generato un aumento non solo delle visite gratuite, ma anche di quelle a pagamento.

È pur vero, d’altro canto, che ci possono essere politiche il cui valore e successo può non dipendere da esiti quantificabili. A volte ci sono misure che rispondono a esigenze più astratte ma non meno importanti, come fare propri certi valori e principi che si ritiene sia importante rafforzare. Ad esempio, anche se una legge che definisce l’odio razziale o di orientamento sessuale come un’aggravante in certi crimini non dovesse fungere da deterrente, servirebbe a indicare un’adesione a certi valori, come il contrasto all’omotransfobia e il riconoscimento dell’identità di genere come qualcosa da accogliere e proteggere nella cultura di un paese.

Ma a quale principio o valore più generale si ispira il bonus musei per gli iscritti all’Aire? Quale messaggio culturale contiene? E un risparmio di qualche euro è il modo migliore per rafforzare questo (non definito) principio?

Per rimanere nell’ambito degli italiani all’estero, infine, sembra naturale domandarsi se non sia opportuno investire non tanto nel turismo di rientro, quanto nel rientro degli espatriati – sia come misura con effetti positivi quantificabili sia come segnale del tipo di paese che l’Italia vuole mostrare di essere.

I dati dell’Istat raccontano un paese di nuova emigrazione — 900mila italiani si sono trasferiti all’estero nell’ultimo decennio — caratterizzato da una forte crescita della quota dei laureati che decidono di cercare maggiore fortuna all’estero. I flussi migratori verso l’estero, in parte legati alla scarsa capacità del mercato del lavoro italiano di assorbire i nuovi laureati, acuiscono alcuni dei problemi strutturali dell’Italia, rendendola un paese ancora meno giovane e drenando capitale umano fondamentale per innovazione, crescita e sviluppo.

Di fronte a questa emergenza sarebbe opportuno un piano organico di politiche volte a facilitare e incentivare il rientro. Tuttavia, al momento l’arma principale è rappresentata dagli sgravi fiscali per chi trasferisce la residenza in Italia per motivi di lavoro (per trasparenza, chi scrive ne ha usufruito).

Nonostante i benefici fiscali siano considerevoli — con esenzioni fino al 90 per cento del reddito da lavoro prodotto in Italia — e possano rappresentare un forte incentivo al rientro, almeno nel breve termine, al momento non si sono rivelati sufficienti e compensare i flussi in uscita. È ragionevole immaginare che la scelta su dove vivere si basi non solo sulla convenienza economica, ma anche su una serie di altri fattori.

La presenza di un mercato del lavoro in grado di premiare e remunerare le competenze, una società più aperta e tollerante, un sistema di welfare che aiuti giovani e famiglie sono alcuni degli elementi su cui la politica dovrebbe intervenire con interventi mirati e organici.

Benchè l’ingresso gratuito ai musei per gli italiani residenti all’estero sia un intervento trascurabile, colpisce come esempio di un approccio che punta prevalentemente su bonus e sconti per conquistare consenso elettorale e al tempo stesso evitare di affrontare problemi e riforme strutturali che sono politicamente più costose. In particolare, l’elargizione di bonus è spesso presentata come un modo che darebbe ai giovani la possibilità di compiere scelte autonome e indipendenti, avendo accesso a una gamma più ampia di opportunità. In realtà, sembrano solo mance elettorali che poco o nulla fanno per garantire che davvero esistano maggiori possibilità di crescita e lavoro restando in Italia. Il rischio è di continuare a spendere per i giovani e al tempo stesso spingerli a tentare la fortuna all’estero.

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