Le due date coincidono, o quasi. Martedì 13 luglio vedrà l’approdo nell’Aula del Senato della legge Zan. Su questo giornale Daniela Preziosi ha riassunto scena e retroscena, compresi numeri, insidie e future ritorsioni se, come parecchi temono e qualcuno spera, uno o più voti segreti dovessero impantanare il testo.

Due giorni più tardi, giovedì 15 luglio, sarà la volta della Camera dove arriverà il decreto governativo che rifinanzia le missioni internazionali, testo comprensivo dei rinnovati accordi tra l’Italia e la Guardia Costiera libica. Coincidenza? Può darsi, anche se i calendari del Parlamento non sono mai sino in fondo casuali. Talvolta dal loro incastro possono derivare effetti destinati a qualche incidenza sul clima d’opinione. Nel caso specifico conviene attenersi ai fatti, seppure in parte di là da compiersi. 
Sono tra quanti spera che la legge contro discriminazioni e violenze per motivi fondati «sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità» venga approvata nella formulazione attuale. I motivi sono noti.

Si tratta di una mediazione giunta dopo un lungo lavoro che ha tenuto in conto rilievi di varia natura e provenienza, ma al netto di questo (poiché ogni cosa è perfettibile) sembra spericolato affidarsi a una mediazione con chi da sempre si è dichiarato ostile a quel provvedimento.

Per altro, si tratta di forze che hanno sottoscritto una Carta dei valori dell’Europa assieme a una compagnia che su gay e transessuali la pensa come Orban. Anche per questo modificare la legge per rimandarla alla Camera in una staffetta senza garanzie di tagliare il traguardo atteso da moltissimi pare poco più che un impegno scritto sulla sabbia.

Come si è visto i numeri ci sono e se ciascuno dovesse fare la propria parte, cominciando da chi si dice a favore della norma, l’Italia a giorni quella legge potrebbe vedere licenziata. 
Detto ciò, perché la coincidenza con l’altro dibattito alla Camera dovrebbe spingere a un allarme?

Mettiamola così: perché è probabile che i riflettori puntati sul passaggio di verità del Senato distrarranno da un tema altrettanto serio: il rinnovo dell’accordo con quella Guardia Costiera libica che nel corso dei mesi ha proseguito un’azione complice nell’infinita strage che si consuma nel Mediterraneo centrale.

Le tragedie silenziate

Nelle scorse settimane dati e statistiche hanno confermato come l’avere impedito, con la sola eccezione della Ocean Viking, di agire in quello specchio di mare per il salvataggio di naufraghi e persone in difficoltà abbia determinato un incremento degli incidenti e delle vittime.

Esistono testimonianze tragiche sul ruolo svolto da coloro che dovremmo assistere e formare nel riportare donne, uomini, bambini, in fuga da torture e violenze dentro l’incubo peggiore. Parliamo di centri di detenzione dove in tante e tanti vengono ricondotti dopo l’intercettazione in mare con i mezzi della Guardia Costiera libica a operare nella zona di competenza SAR senza i requisiti previsti dalle convenzioni internazionali a cominciare dall’esistenza di un porto sicuro dove sbarcare quanti vengono soccorsi.

Vi saranno deputate e deputati di gruppi diversi che leveranno la voce per segnalare questa e altre storture chiedendo che la proroga della missione di assistenza italiana alle istituzioni di quel paese non venga autorizzata.

L’esito di quella battaglia, almeno sulla carta, pare a oggi scontato, ma tanto più sarebbe importante che sulla pagina non calasse il silenzio. Perché i diritti non hanno gerarchia e calpestando quelli umani si incrina tutta intera la loro impalcatura, al Senato come alla Camera. A conferma che almeno in questo, purtroppo, il bicameralismo funziona benissimo.  

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