La Bce, secondo la dichiarazione della presidente Christine Lagarde, opererà ancora un rialzo del costo del denaro di 50 punti base in marzo perché la dinamica dell’inflazione è ancora elevata.

Questa determinazione della Bce cozza con le analisi della Commissione europea appena pubblicate.

Si legge nelle previsioni invernali della Commissione europea che l’inflazione core (ossia l’inflazione di base) ha ormai raggiunto il suo picco e che il tasso dell’inflazione scenderà, in media d’anno, dall’8,4 per cento del 2022 al 5,6 per cento del 2023 per arrivare al 2,5 per cento nel 2024 nell’eurozona.

In altre parole, secondo la Commissione, l’ondata inflazionistica si sta esaurendo, grazie anche alle misure fin qui adottate e in assenza, ovviamente, di altri fatti traumatici non prevedibili anche se non improbabili.

Il fatto che l’inflazione non raggiunga subito il livello del 2 per cento tanto desiderato dalla Bce dipende dal normale corso dei fenomeni che non si esauriscono di colpo, oltre al fatto che il tasso di variazione dei prezzi di un anno dipende anche dalla curva che aveva seguito l’anno precedente, tanto che già a fine 2023 è possibile che l’inflazione mensile riportata ad anno sia dell’ordine del 2 per cento.

Il segnale di fermezza

Perché, allora, la Bce insiste per aumentare i tassi d’interesse? Certo, la prudenza è d’obbligo e quindi si può capire che la banca centrale voglia evitare di mandare segnali di desistenza nella lotta all’inflazione, come potrebbe essere interpretata la decisione di fermare l’aumento tanto annunciato del costo del denaro.

C’è poi una seconda ragione che forse resta rilevante. In realtà l’obiettivo della Bce non è tanto di bloccare l’inflazione futura, quanto quella di adattare il costo del denaro nell’eurozona all’inflazione corrente, ossia sta semplicemente inseguendo l’inflazione più che contrastarla.

Con un’inflazione ancora oltre il 5 per cento in media nel 2023, come pronosticato dalla Commissione europea, il costo del denaro nell’eurozona resterebbe ancora basso in termini reali, generando disagi in particolare alle istituzioni finanziarie (banche e assicurazioni) che già hanno dovuto vivere alcuni anni di rendimenti negativi.

Sempre in ritardo

D’altro canto, in questo ciclo d’inflazione, il ruolo della politica monetaria è stato più a rimorchio dell’inflazione che ad anticiparla.

Dopo che per molti anni la politica monetaria aveva tentato invano di resuscitare l’inflazione con enormi immissioni di liquidità, questa è esplosa per cause contingenti (pandemia e guerra), ha fatto il suo corso ed ora sembra tornare su livelli più moderati, mentre la politica monetaria si sta facendo più restrittiva proprio durante il calo della crescita dei prezzi.

Il prossimo aumento dei tassi da parte della Bce è ormai scontato dai mercati e, si spera, non farà eccessivi danni.

Sarebbe comunque bene che dopo marzo si evitasse di fare altre dichiarazioni e si osservassero meglio i dati dell’inflazione e della crescita futura dell’Eurozona. 

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