Vedremo i numeri dettagliati della legge di Bilancio, ma l’impianto è già chiaro e rivela due cose: la rinuncia del governo a rispettare le promesse elettorali e la confusione su come rispondere alla sfida dell’inflazione.

Come ha notato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, in Italia i prezzi sono cresciuti in un anno di circa il 13 per cento e i redditi soltanto del 2,8. I lavoratori italiani si stanno impoverendo, e questo – presto o tardi – genererà una forte tensione sociale.

In Germania il potente sindacato IgMetall, 2,2 milioni di metalmeccanici, ha ottenuto aumenti salariali dell’8,5 per cento, più un contributo una tantum da 3.000 euro. Sembra tanto, ma è meno dell’inflazione che è all’11,6 per cento: il sindacato ha quindi accettato una riduzione del valore reale del salario dei suoi iscritti. In Italia non si vede niente di simile, né per pragmatismo né per ambizione: gli interventi sono piccoli, iniqui e clientelari, col risultato di costare tanto e produrre poco.

Usare l’evasione

L’approccio non dichiarato e non dichiarabile del governo è quello di proteggere il proprio elettorato dall’inflazione rendendo con una riduzione dei controlli fiscali: l’evasione come leva per recuperare risorse. Aumento del tetto all’uso del contante, possibile sanatoria sul rientro dei capitali, cancellazione delle cartelle esattoriali più basse e così via.

L’agenda ufficiale parla di interventi in continuità con il governo Draghi, come quello sulle bollette che copre però soltanto 3 mesi e che non si potrà prorogare all’infinito (servono circa 5 miliardi al mese), e di altri che servono ad avere titoli sui giornali ma servono a poco o fanno danno.

Sospendere l’Iva sui beni alimentari sembra (pane e latte, pare) può sembrare una buona idea ma ha due problemi: è una misura regressiva, nel senso che aiuta tanto chi compra il costoso pane a lievitazione naturale quanto chi non ha alternative al tipo più economico e scontato a fine giornata, è un aiuto anche ai ricchi quanto ai poveri.

Il secondo problema è che il governo dovrebbe essere sicuro che il beneficio arrivi ai consumatori: i produttori potrebbero mantenere i prezzi invariati e aumentare semplicemente il proprio margine di profitto. Gli sgravi fiscali selettivi non equivalgono a prezzi calmierati per legge (che hanno poi i loro problemi).

Vale lo stesso discorso per la ventilata “tassa Amazon”, ennesimo tentativo di colpire il commercio on-line con l’intento di favorire quello di prossimità e di prendere soldi dove ci sono, cioè nelle multinazionali del digitale.

Peccato che la filiera di Amazon sia lunga e complessa, e anche in questo caso bisogna valutare bene chi pagherebbe il costo aggiuntivo: la piattaforma? L’azienda che la usa per vendere il prodotto? Il consumatore finale? A decidere sarà la parte più forte, cioè Amazon.

Togliere ai poveri

Poi c’è l’ossessione per il reddito di cittadinanza: a prescindere da qualunque valutazione sull’efficacia del sussidio come incentivo al lavoro, togliere risorse da quella voce per finanziare altri interventi per i pensionandi, significa impoverire chi è più esposto ai colpi dell’inflazione e al rischio della recessione in arrivo per aiutare chi ha già un lavoro e, vicina o lontana, la prospettiva della pensione.

Da qualunque prospettiva si guardi un simile intervento – quella dell’efficienza o quella dell’equità – è una cattiva idea. Idem i 100 milioni per il Made in Italy: poco più di una mancia che basterà però per finanziare interventi selettivi a favore di settori o singole imprese con cui il governo vuole consolidare un rapporto.

Una legge di Bilancio inadeguata e imbarazzante fin dalle prime anticipazioni.

© Riproduzione riservata