Dopo le ultime elezioni si è parlato nel Pd di "congresso costituente” e di “vera discontinuità” con il passato. Trascorse alcune settimane, si manifesta in realtà il serio rischio che il percorso congressuale si ‘normalizzi’ sulla scia delle esperienze del passato.

Si sono già messi in moto i tentativi di posizionamento di alcuni candidati scesi in pista all’insegna di un concretismo che fa riferimento alle capacità di ascoltare e governare i territori.

E’ evidente che il patrimonio di radicamento territoriale vada valorizzato. Ma questo concretismo rischia di essere inadeguato se non si accompagna alla capacità di ridefinire con chiarezza le scelte politiche del partito a livello nazionale.

In realtà già si parla di più di primarie aperte ai non iscritti e di gazebo – una vera iattura per il  Pd.  Una pratica organizzativa che non è in genere seguita dai partiti di sinistra europei e che fu introdotta con le scelte iniziali in favore del “partito all’americana”.

Essa indebolisce il partito, ne riduce la capacità di indirizzo, non contrasta le correnti come aggregazioni di potere, favorisce specie nel Mezzogiorno la libertà di manovra di feudatari politici locali.

Cresce così la personalizzazione della leadership, che se poteva essere inizialmente giustificata dal tentativo di rafforzare il ruolo di Romano Prodi, successivamente ha mostrato tutti i suoi limiti.

Ma dare per scontate le primarie a fronte di un congresso costituente significa dare per scontato il mantenimento di un modello organizzativo strettamente connesso a quell’offerta politica che ha portato al declino del partito. Tale modello affida infatti in misura consistente la specificazione dell’indirizzo politico alla scelta del segretario con le primarie (una sorta di modello plebiscitario).

Ecco perché, nonostante diverse voci si siano levate per segnalare il rischio che la discussione sul futuro del partito si riduca a una questione di scelta di nomi per l’ennesimo segretario, questo rischia di accadere.

Non basta per contrastare tale pericolo l’appello ai non iscritti a partecipare e candidarsi, né basta la consultazione di circoli e movimenti.

Occorre che si trovino le forme adeguate per avviare una discussione vera – finora mai fatta – sulle cause del declino, e che su questa diagnosi si innesti una proposta coerente complessiva di ridefinizione dell’offerta politica.

Occorre che ci si chieda chi vuole rappresentare il Pd e se vuole tentare di recuperare l’elettorato popolare, i gruppi più disagiati che lo hanno abbandonato.

Se si sceglie questa strada bisogna ancora chiedersi quali politiche redistributive siano in grado di contrastare le crescenti disuguaglianze sociali senza compromettere la crescita con misure assistenziali, ma sostenendo uno sviluppo inclusivo.

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