Dopo le elezioni avevamo posto un tema che ha suscitato ampio dibattito e aspre reazioni: è il momento di sciogliere il Partito democratico, che è diventato un problema per la sinistra italiana. La sua presenza in mezzo allo schieramento progressista condanna alla sconfitta: è troppo grande per lasciar crescere nuove e più dinamiche forze, per esempio sul fronte ambientalista, ma troppo piccolo per egemonizzare l’area e vincere.

Viene continuamente insidiato a destra dal Terzo polo Azione-Italia viva e a sinistra dal più improbabile dei leader, quel Giuseppe Conte che fa campagna contro sé stesso (contro gli invii di armi in Ucraina che ha votato, contro i decreti sicurezza che ha approvato, contro i blocchi di migranti che autorizzava da premier…).

I difensori del Pd ci hanno risposto, nelle settimane scorse, che eravamo degli irresponsabili. Che mai come ora c’era bisogno di una forte opposizione a guida Pd. Voi l’avete vista?

La dirigenza si è subito inabissata nelle sue imperscrutabili dinamiche congressuali, abbinate a ceni, pranzi e presentazioni di libri con Goffredo Bettini, eterno regista di ipotesi alternativa. Dario Franceschini, come sempre, costruisce trame dal senso indecifrabile.

Intanto Enrico Letta resta in carica come segretario-zombi, rinunciatario alla leadership dopo la sconfitta del Pd alle elezioni, ma ancora alla guida del partito per un interminabile procedura pre-congressuale che durerà mesi.

Il partito kebab

Pur avendo concluso di aver perso le elezioni per l’incapacità di costruire una coalizione larga da contrapporre al centrodestra, alla prima occasione il Pd ha deciso di ripetere l’errore: nel Lazio si prepara a consegnare la regione alla destra perché l’intesa con i Cinque stelle è troppo difficile; in Lombardia c’è una concreta opportunità di far perdere la Lega e Fratelli d’Italia, con uno schieramento che sostenga l’ex berlusconiana e ora civica Letizia Moratti assieme al Terzo polo.

Se l’unica identità del Pd è quella di essere forza del governo responsabile, perché altre non ha saputo esibirne, allora dovrebbe avere come priorità di governare sempre e comunque. Vincere, in politica, non è poi una brutta cosa. Dopo aver governato in questi anni con Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Matteo Salvini, Luigi Di Maio, Giancarlo Giorgetti, Matteo Renzi, (merita una menzione anche l’indimenticato senatore Lello Ciampolillo) ma veramente questa dirigenza del Pd può invocare la coerenza e l’identità come criteri per scegliere le alleanze?

Il Pd ha scelto di essere un partito kebab: a ogni elezione gli avversari ne tagliano via una fetta, si continua fino a quando non rimane soltanto l’osso al centro, pronto per il sacco dell’immondizia. Letta ha promesso di aprire il partito a chi ci vuole entrare. Il rischio di spalancare le porte è che ci sia soltanto il flusso in uscita.

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