Il 2022 è stato l’anno più caldo per l’Italia dal 1800, il secondo anno più secco a livello nazionale, il più siccitoso in assoluto per il Nord-Ovest.

Basterebbero questi tre dati per mettere a tacere chiunque sta condannando l’azione degli attivisti di Ultima Generazione a Palazzo Madama.

Il clima è già cambiato, non altrettanto il senso di urgenza della classe politica nostrana che ancora una volta si limita a scandalizzarsi via Twitter dicendoci che «l’ambiente non si difende così».

Cosa su cui, d’altronde, tutto il mondo dell’attivismo concorda: l’ambiente potrebbero difenderlo proprio coloro che si indignano per il gesto ma non fanno altro, motivo per cui Ultima Generazione da mesi cerca di smuovere le acque, “sbalordendo i borghesi” per dirla con Baudelaire.

Non si tratta infatti di generici “blitz ambientalisti”, come amano definirli molti media, una descrizione tanto vacua quanto pericolosa.

Limitandosi a parlare del cosa (attivisti imbrattano di vernice la facciata del Senato) senza spiegare il perché (per chiedere lo stop a nuove trivellazioni e al mantenimento di vecchie centrali a carbone), non si fa altro che fomentare la pubblica gogna e il processo per direttissima a cui sono sottoposti non può che sembrare il più giusto degli esiti di questa vicenda.

Gli attivisti di Ultima Generazione fanno bene a fare quello che fanno e hanno ragione.

Come ci scrive Andreas Malm, autore dell’importante saggio Come far saltare un oleodotto, la posta in gioco è troppo alta per non ricorrere a ogni strategia.

Il loro lavoro serve a rendere evidente quanto è disperatamente necessario fare qualcosa nel poco tempo utile che abbiamo.

Gli scioperi per il clima non bastano

Il dibattito su quest’ultima azione rappresenta però anche un’ennesima occasione di riflessione per il mondo dell’attivismo.

La sfida che abbiamo di fronte è quella di una rivoluzione travestita da transizione.

I tempi sono stretti, la lista dei cambiamenti da fare infinita, le energie umane ed economiche da mettere in campo gigantesche.

C’è bisogno di tutti e quindi c’è bisogno di azioni che parlino, coinvolgano e mobilitino quante più persone possibili.

Gli scioperi per il clima, purtroppo, non riescono ad avere più l’attenzione e la partecipazione degli inizi; la creazione o la rifondazione di un soggetto politico capace di fare delle tematiche climatiche agenda politica e, si spera al più presto, di governo è nell’aria ma ancora lontana dalla sua realizzazione.

Le azioni alla Ultima Generazione, come abbiamo visto, creano dibattito, attenzione, ma non hanno dalla loro né i mass media, che possono coinvolgere il pubblico generalista, né la classe politica, che può fare delle istanze ecologiste proposta e programma. La prima domanda da porci è: quali altre vie possiamo percorrere?

La rivoluzione futura

Il secondo aspetto che è importante sottolineare è che si sta lavorando ancora troppo poco sul presentare la transizione come quello che é: una rivoluzione in positivo.

Fridays For Future è nato come un movimento di rivendicazione di cambiamento e, per l’appunto, di futuro.

Al centro delle loro richieste non sta una generica idea di “sostenibilità”, che è per sua natura mantenimento, ma una chiara richiesta di giustizia climatica, che è per sua natura miglioramento.

Agli occhi dei più, però, è una questione generazionale, che solo “i giovani” o “i ragazzi” possono portare avanti, come se la possibilità di far star meglio se stessi e gli altri avesse una data di scadenza.

I cosiddetti “blitz ambientalisti”, invece, lavorano su uno spettro emozionale che è quello dell’urgenza e dell’ansia, utile a smuovere le coscienze, poco i desideri.

La transizione però è “l’idea che si possa vivere meglio di così” e soprattutto la ricerca di un benessere su ampia scala. Quindi: come attivare questa visione?

Sappiamo tutti benissimo che il clima non si adatta alle scadenze cronologiche che si dà la specie umana, ma siamo appena entrati nel settennio decisivo per la sfida climatica.

Adattarci, sì, ma soprattutto mitigare il più possibile affinché qualche forma di adattamento sia ancora possibile.

Cosa succede nel 2023

Il 2023 sarà l’anno di COP28, la cosiddetta “COP delle soluzioni”, che però si terrà nella tana del lupo, ovvero gli Emirati Arabi.

Per far sì che le soluzioni individuate siano quelle davvero utili a mantenere un clima adatto alla sopravvivenza della vita sul pianeta per come la conosciamo e non alla sopravvivenza del fossile ci sarà bisogno di tutta l’attenzione mediatica possibile e, soprattutto, di tutta la consapevolezza sulla posta in gioco da parte dell’opinione pubblica.

Come renderlo possibile dovrà essere il lavoro dell’attivismo italiano e globale per i prossimi mesi.

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