Il contesto economico rende sempre più cruciale la scelta del giusto ministro del Tesoro per Giorgia Meloni. Due fatti consigliano grande prudenza.

 Il primo, minore, è l’avvertimento preventivo del presidente della Confindustria Carlo Bonomi, considerato da tempo bendisposto verso il centrodestra: «Non possiamo permetterci immaginifiche flat tax e prepensionamenti, Non vogliamo negare ai partiti di perseguire le promesse elettorali ma oggi energia e finanza pubblica sono due fronti emergenza che non possono ammettere follie per evitare l'incontrollata crescita di debito e deficit».

Significa disconoscere il programma del centrodestra e applicare la pragmatica moderazione del governo Draghi, con la giusta dose di deficit soltanto per le emergenze.  

Il secondo fatto, più rilevante, è la catastrofe valutaria innescata dalla premier inglese Liz Truss: i mercati sono molto più sensati di quello che pensano alcuni elettori. Non hanno affatto apprezzato il suo piano di tagli di tasse per i ricchi – equivalente inglese delle flat tax italiche, ma assai più moderato – e hanno spinto il Regno unito a un passo dal disastro finanziario. Sterlina a picco, rendimenti dei titoli di stato al rialzo, governo costretto a intervenire per garantire la banca centrale, invece che il contrario. Truss ha dovuto rimangiarsi tutto.

Giorgia Meloni e i suoi consiglieri osservano e recepiscono il messaggio. Il premier uscente Mario Draghi aveva consigliato, addirittura in conferenza stampa, di confermare Daniele Franco al ministero dell’Economia.

L’ex direttore generale della Banca d’Italia non è particolarmente amato al ministero, ma almeno è uno che garantisce una certa prudenza e ha la benedizione di Draghi, darebbe il massimo della stabilità.

Però per Meloni è complicato, almeno per ora, imporre agli alleati di centrodestra quel tipo di continuità. Fabio Panetta, anche lui da Banca d’Italia, è il membro del board della Bce: è considerato di centrodestra, con Meloni si sono piaciuti, ma resterebbe volentieri a Francoforte.

Lo scudo anti-spread ha una grossa componente discrezionale e per l’Italia sarebbe un rischio privarsi dell’unica voce italiana nel ristretto gruppo di vertice della banca centrale. Certo, se lo chiedesse il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per Panetta sarebbe impossibile dire di no.

Ma anche questo sarebbe un problema per Meloni, trovarsi a chiedere a Mattarella una specie di legittimazione esterna alla sua credibilità finanziaria, scambiando un beneficio di breve periodo (la nomina di Panetta) con un rischio di medio termine molto più grande (una Bce meno sensibile al punto di vista italiano).

Circola il nome di Domenico Siniscalco, che giusto ad aprile scorso è stato assolto dalla Corte dei conti del Lazio da un’accusa che lo perseguitava da un decennio, quella di aver causato un danno erariale da quasi quattro miliardi per un derivato stipulato dal Tesoro con Morgan Stanley, banca per la quale Siniscalco è andato a lavorare dopo gli anni da direttore generale e poi ministro del Tesoro.

Siniscalco è di sicuro uomo che conosce i mercati, anche se da anni li frequenta dal lato delle banche e non delle istituzioni, ma sarebbe l’ennesimo recupero dalla stagione berlusconiana che, all’estero e tra gli investitori nel debito pubblico, non è certo ricordata con serenità.

Più il contesto si fa difficile, meno Meloni potrà permettersi di cambiare troppo in quella casella così decisiva. E alla fine la conferma di Daniele Franco potrebbe risultare il male minore: meglio vedere arrabbiati Matteo Salvini e Silvio Berlusconi che i mercati obbligazionari.

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