Più che gli aumenti dei tassi, spaventa il rischio di frammentazione e stabilità finanziaria. L’ambiguità costruttiva adottata dalla Bce non sembra esser sufficiente a prevenire tensioni. Lo spettro del 2011 aleggia nuovamente nei mercati finanziari. Giovedì, il consiglio direttivo della Bce ha agito più o meno come da attese. Le pressioni inflazionistiche si sono ampliate e intensificate, giustificando una svolta sui tassi. Poiché è buona norma iniziare in modo incrementale, la presidente Christine Lagarde ha preannunciato un aumento di 0,25 per cento nel tasso di policy per la prossima riunione del 21 luglio e ha promesso un ulteriore aumento di 0,50 per cento in settembre se le proiezioni di inflazione a medio termine rimarranno al di sopra dell’obiettivo del due per cento, il che sembra probabile. E la fase di rialzo continuerà nei prossimi mesi.

Ma ciò che ha focalizzato l’attenzione dei mercati finanziari giovedì è stata l’assenza di indicazioni specifiche sul cosiddetto “scudo anti-spread”, ovvero su come la Bce intenda prevenire una possibile frammentazione nella trasmissione della politica monetaria.

Già in dicembre, la banca centrale aveva annunciato il reinvestimento flessibile dei titoli acquistati nel programma legato alla pandemia (Pepp). Tuttavia, molti dettagli importanti volutamente non sono stati ancora svelati.

La strategia

Ha prevalso in sostanza la strategia della cosiddetta “ambiguità costruttiva”, ovvero del dire e non dire, con la promessa che la banca centrale farà tutto quanto necessario. Ma in questi casi conta la credibilità dell’impegno.

Non solo la presidente Lagarde non sembra godere della stessa magia di Mario Draghi agli occhi dei mercati finanziari, ma le vicende degli ultimi tempi hanno lasciato chiaramente intravvedere che il consiglio direttivo è diviso su questo tema.

Non è un segreto, infatti, che molti governatori nazionali non siano disposti ad andar oltre quanto già previsto nell’ambito dell’Omt, ovvero un intervento della Bce concesso solo a fronte di condizionalità ben precise approvate dal Consiglio europeo.  

Comprensibilmente, si vuole evitare la cosiddetta fiscal dominance, cioè l’esser costretti ad agire non per salvaguardare la stabilità dei prezzi, ma per salvare i paesi in difficoltà. La fredda raffica di vento nordica avvertita nella riunione di giovedì ad Amsterdam non è dunque una sorpresa.

Ma del resto, l’Europa ha già dimostrato solidarietà con Next Generation EU e sarebbe quantomeno bizzarro che si autoinfliggesse un altro shock finanziario per non voler agire tempestivamente.

Mark Twain disse che le vicende storiche non si ripetono, ma fanno spesso rima. In effetti sembra che l’area dell’euro stia avvicinandosi a grandi passi verso una tempesta perfetta, che ha delle similitudini con la situazione del 2011.

Mettiamo in fila tutti gli elementi. In primis, vi è un’incertezza molto elevata sulle prospettive economiche, legata ai costi dell’energia e delle materie prime, e quindi alla guerra. E questo avviene dopo uno shock senza precedenti come quello pandemico. Nel 2011 vi erano gli strascichi della crisi finanziaria del 2008-9.

Secondariamente, vi è una svolta nel ciclo finanziario internazionale, a cui è stato dato il là dal cambiamento di direzione della politica monetaria statunitense nel 2021, e poi da quella della Bce. Nel 2011 la Bce aveva aumentato i tassi due volte prima di dover poi invertire la rotta. Non dimentichiamo che l’aumento dei premi al rischio è parte di qualsiasi stretta monetaria, e così anche l’aumento degli spread.

Le banche dell’area euro dovrebbero beneficiare dal rialzo dei tassi d’interesse. Peccato però che le loro performance nel mercato azionario non abbiano reagito di conseguenza, e questo lascia qualche dubbio sulla loro capacità di continuare a finanziare l’economia dell’area euro in modo adeguato ed omogeneo.

Infine, i paesi emergenti che non producono materie prime ed energia sono in grande sofferenza. Più di metà dei quelli che avevano beneficiato dell’iniziativa del G20 di sospensione nel pagamento degli interessi sul debito sono ora di fatto in stato di insolvenza e dovranno affrontare una ristrutturazione del loro debito.

Almeno inizialmente, questo aumenterà anche la percezione di rischio nell’area dell’euro. Inoltre, le agenzie di rating hanno sino a oggi adottato un atteggiamento molto conciliante e il loro atteggiamento potrebbe cambiare. Se a questo si aggiunge che l’Italia affronterà a breve elezioni importanti che aumenteranno la percezione del rischio politico, la miscela può divenire esplosiva.      

Non è pertanto impensabile che a un certo punto i mercati finanziari vogliano testare la determinazione della Bce, e questo può accadere prima di quanto si possa immaginare.

Come se ne esce dunque? Diventa essenziale che venga attivato subito un ombrello protettivo di natura monetaria o fiscale per prevenire, anziché alleviare ex post, possibili problemi di stabilità e frammentazione finanziaria. 2011 docet.

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