Nei mesi scorsi, su queste pagine abbiamo espresso forti critiche circa le politiche del governo di Giorgia Meloni in tema di immigrazione.

Le nostre critiche trovano ora conferma nell’ordinanza con cui il tribunale di Catania ha dichiarato illegittimo il decreto sugli sbarchi selettivi del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. C’è anche un altro evento da segnalare: nei giorni scorsi il governo è stato costretto a scusarsi per accuse infondate sul caso della nave Iuventa.

I fatti

Il 4 novembre 2022, il ministro dell’Interno, di concerto con quelli della Difesa e delle Infrastrutture, aveva emanato un decreto con cui limitava l’ingresso e la sosta nelle acque territoriali alla Humanity 1, con a bordo 179 naufraghi, per il tempo necessario ad assicurare le operazioni di assistenza presso il porto di Catania. Il 6 novembre era stato consentito lo sbarco di 144 naufraghi, tra minori e persone con vulnerabilità sanitarie.

Nello stesso giorno era stato notificato al capitano della Humanity 1 il divieto di sostare nelle acque territoriali, ma il comandante si era rifiutato di lasciare il porto fino a quando non fosse stato consentito a tutti di sbarcare.

Nel mentre, attraverso un legale e mediatori linguistici, le 35 persone rimaste a bordo avevano espresso la volontà di chiedere protezione internazionale e presentato un ricorso per poter sbarcare.

L’8 novembre, a seguito della valutazione da parte di un’equipe medica, a tutti i migranti era stato permesso di scendere a terra.

L’avvenuto sbarco ha fatto venire meno l’oggetto del ricorso, per cui il tribunale ha dichiarato «cessata la materia del contendere». Ciò nonostante, il collegio ha esaminato la vicenda, dovendo comunque pronunciarsi sulle spese di giudizio.

Il decreto Piantedosi era illegittimo: concedere lo sbarco solo alle persone fragili contravviene agli obblighi internazionali in materia di soccorso in mare. Il decreto, inoltre, violava l’obbligo dello Stato di procedere quanto prima alla registrazione e all’istruttoria delle domande di protezione internazionale.

È esattamente quanto, per entrambi i profili, avevamo sostenuto nell’articolo di commento al decreto sugli sbarchi selettivi.

La violazione del diritto del mare

Una salvataggio della Ocean Viking ad agosto (AP Photo/Jeremias Gonzalez, File)

Il tribunale di Catania ha richiamato, innanzitutto, una serie di norme della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e della convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo (SAR), che abbiamo citato molte volte su queste pagine. Ai sensi di tali convenzioni, dev’essere prestato soccorso a ogni persona in pericolo in mare «senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata».

«È chiaro» - affermano i giudici - «che, fra gli obblighi internazionali, assunti dal nostro paese, vi è quello di fornire assistenza ad ogni naufrago, senza possibilità di distinguere, come sancito nel decreto interministeriale (…) in base alle condizioni di salute».

Il tribunale rimanda anche a una sentenza della Corte di Cassazione (n. 6626/2020) alla quale avevamo pure dedicato un articolo per dimostrare gli errori di Piantedosi.

Secondo tale pronuncia, il dovere di soccorso non può considerarsi adempiuto «con il solo salvataggio dei naufraghi a bordo dell'imbarcazione e con la loro permanenza su di essa, ma comprende altresì lo sbarco degli stessi presso un “luogo sicuro” sulla terraferma (place of safety)».

Diversamente da quanto affermato in più occasioni dal ministro, «una nave in mare che presta assistenza non costituisce “luogo sicuro", se non in mera via temporanea, giacché essa, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti soccorse, fra i quali va incluso il loro diritto a presentare domanda di protezione internazionale».

Il diritto di asilo

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Il decreto interministeriale sugli sbarchi selettivi ha impedito a molti migranti di presentare domanda di protezione internazionale.

Una serie di normative sia interne che internazionali vietano di «introdurre divieti o di discriminare tra i migranti», oltre a imporre «tempi brevi per l’inoltro della domanda e per l’accertamento del diritto alla protezione richiesta, proprio in considerazione della particolare vulnerabilità di chi, soccorso in mare, riesca ad approdare sul territorio di uno dei Paesi membri dell’Unione».

Inoltre – secondo il tribunale - la violazione da parte dello Stato dell’obbligo di registrare la domanda di protezione contrasta con la Convenzione europea sui diritti umani (CEDU), che vieta trattamenti inumani degradanti, e priva i migranti di un rimedio effettivo in opposizione al respingimento automatico collettivo (l’Italia è già stata condannata per respingimento dalla Corte di Strasburgo nel 2012, caso Hirsi Jamaa). L’affermazione dei giudici sulla violazione della CEDU dà la dimensione della gravità delle condotte governative.

Dunque, il Tribunale ha chiarito ancora una volta che tutte le persone recuperate in mare in situazioni di pericolo devono sbarcare sollecitamente e senza distinzioni, escludendo la legittimità di una loro prolungata permanenza a bordo delle navi, ciò anche per poter accedere alla procedura di asilo.

Alla luce della pronuncia, appare palese altresì l’illegittimità della pratica del Viminale di assegnare alle navi di soccorso un porto di sbarco lontano, nonché dell’imposizione al comandante di raccogliere le domande di asilo dei migranti, contenuta in un recente decreto legge, al fine di spostare ogni competenza allo Stato di bandiera.

Il caso Iuventa

Ma non c’è solo il tribunale di Catania. Qualche giorno fa - come segnalato da Sergio Scandura su Radio Radicale, unica voce al riguardo - il ministro Piantedosi è stato smentito anche sul caso della nave Iuventa, della organizzazione non governativa tedesca Jugend Rettet, di cui si sta occupando il tribunale di Trapani. L'accusa è di favoreggiamento di immigrazione illegale per il periodo che va dall'estate del 2016 a quella del 2017. Al momento non c'è alcun rinvio a giudizio.

Come ha spiegato Scandura, il perito nominato dal tribunale per esaminare il materiale audiovisivo degli interrogatori ha attestato che gli interpreti forniti dalle autorità di indagine avevano tradotto in modo non corretto passaggi essenziali degli interrogatori, distorcendo quanto espresso dagli imputati. Ciò ha comportato una lesione al diritto alla difesa e all'equità del processo.

E non basta. Come spiegato da Scandura, il ministro dell’Interno e la presidenza del Consiglio hanno presentato un’istanza di costituzione di parte civile in giudizio con riguardo a presunti reati a carico degli imputati stessi, reati che tuttavia scaturivano da un maldestro copia-incolla da parte dell’avvocatura dello Stato, cioè da un errore materiale.

Nell’istanza erano, infatti, riportate condotte che mai erano state contestate loro, quali l'appartenenza a un'organizzazione criminale transnazionale.

Gli avvocati della difesa hanno minacciato una controquerela per le accuse infondate e diffamatorie contenute nell’istanza stessa. L’avvocato dello Stato ha dovuto scusarsi e associarsi alla richiesta della difesa di cancellare interi passaggi dall’atto. Dunque, forse dovrebbe scusarsi anche Piantedosi per le accuse che in molte sedi ha mosso infondatamente a organizzazioni non governative.

Sulla vicenda Iuventa va richiamata anche un’altra notizia. La Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, Mary Lawlor, ha affermato che la criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie, in corso in Italia, contrasta con il diritto internazionale.

Circa la richiesta di costituzione in giudizio della presidenza del Consiglio e del ministro dell’Interno per il caso Iuventa, la relatrice ha affermato che ciò viola il principio in base a cui gli Stati che tutelano i diritti umani «promuovono il lavoro dei difensori dei diritti umani».

Chissà se Meloni, quando si vanta della positiva valutazione internazionale del suo governo, tiene anche conto di considerazioni come questa.

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