La pubblicazione dell’elenco dei partecipanti al sinodo e l’annuncio che saranno creati ancora altri cardinali hanno suscitato commenti sull’evoluzione del pontificato di Francesco, in genere concordi nel sottolineare il carattere personale delle scelte del papa. In questo modo Bergoglio attuerebbe la sua intenzione da una parte di rendere irreversibili le riforme intraprese – come ha accennato lo stesso pontefice – e dall’altra addirittura di influire in qualche modo sulla sua successione.

Queste interpretazioni sembrano poco fondate e gli intenti ancor meno realizzabili. Francesco ha più volte affermato che il suo pontificato sta realizzando quanto il collegio dei cardinali al completo – compresi cioè gli ultraottantenni, che per decisione di Paolo VI dal 1970 non hanno più diritto di voto attivo nei conclavi – aveva deliberato nelle riunioni che hanno preceduto la sua elezione nel 2013. Quattro mesi più tardi Bergoglio ha detto di aver dato priorità agli interventi in ambito economico e finanziario perché costretto dai ripetuti scandali.

L’accentramento

L’indirizzo riformatore suggerito dalle congregazioni generali durante la sede vacante intendeva reagire alla crisi nel governo della Santa sede manifestatasi soprattutto negli ultimi mesi del pontificato di Benedetto XVI. Ma a questo programma di riforme emerso dalle riunioni dei cardinali – un cantiere aperto su diversi fronti e per il momento irrisolto, soprattutto per quanto riguarda la cancrena degli abusi – ha corrisposto un esercizio molto personale del potere da parte del pontefice argentino e gesuita.

Il governo monocratico di Bergoglio, caratteristico soprattutto degli ultimi anni, vuole forse compensare le modeste realizzazioni della sinodalità, dal papa tanto esaltata. Di questa però i contorni restano sfuocati al punto da averlo indotto a indire un sinodo sulla sinodalità – sfida impegnativa – che si sta svolgendo in diverse tappe ed è promettente finora solo sulla carta. Frenato con decisione da Roma è stato invece il «cammino sinodale» in Germania, dove l’emorragia dei fedeli cattolici che lasciano la chiesa sembra inarrestabile, con conseguenze pesanti anche sul piano finanziario.

Limiti congeniti

Sembrano poi indebolire l’azione del papa la riforma della curia romana e i provvedimenti sulle strutture dello stato vaticano, minuscolo ma reale. Dopo nove anni di riunioni, la riforma ha confermato la forte riduzione del ruolo che aveva la Segreteria di stato, centrale invece nel radicale rinnovamento che nel 1967 aveva impresso alla curia Paolo VI.

Appannata, ma già con Benedetto XVI, risulta anche l’incidenza dei diplomatici della Santa sede. Mentre i ripetuti interventi sulle finanze e sui tribunali vaticani mostrano sì – come le gride manzoniane – le difficoltà della situazione, ma anche le incertezze in questi due ambiti, e più radicalmente ancora i limiti congeniti di questi residui dell’antico potere temporale, quando il papa era anche re. E non a caso questi interventi cominciano a essere criticati anche da cardinali.

La storia dimostra infine che la scelta delle persone, e degli stessi cardinali, da parte di un pontefice è certo importante ma non decisiva. Nelle vicende del papato i tentativi di designare un successore – pur presenti in alcuni momenti e in modi diversi – sono stati poi poco praticati. E negli ultimi secoli soltanto in due occasioni il candidato sostenuto da un pontefice è stato eletto suo successore: nel 1939 Pacelli, designato da Pio XI, e nel 1963 Montini, indicato da Giovanni XXIII.

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