È stato presentato il 21 maggio, alla Camera dei deputati, il Rapporto annuale 2025 dell’Istat. Un documento fondamentale per comprendere l’evoluzione sociale, demografica ed economica dell’Italia e riflettere sul futuro del paese, a partire dai giovani. I dati parlano chiaro: le nuove generazioni si trovano oggi a fronteggiare sfide inedite, e l’Italia, per non perdere un patrimonio inestimabile di energie e intelligenze, è chiamata a un’azione collettiva e decisa.

Tra i fenomeni più preoccupanti messi in luce dal Rapporto spicca il costante aumento degli espatri tra i giovani laureati. Nel solo 2023, 21mila italiani tra i 25 e i 34 anni, in possesso di una laurea, hanno lasciato il paese. È il dato più alto mai registrato.

Ma ciò che pesa ancora di più è il saldo: nello stesso anno, solo 6mila giovani laureati sono rientrati. Il risultato è una perdita netta di 16mila risorse qualificate. E, guardando all’intero decennio, il saldo migratorio negativo per questa fascia di età ha raggiunto le 97mila unità.

Non è solo un’emorragia di numeri: è un indebolimento strutturale del capitale umano, della nostra capacità di innovare, produrre, costruire benessere. È come se ogni anno una consistente quota di talenti formati nelle nostre università decidesse di investire altrove le proprie competenze.

Una fuga subita

Questa tendenza, già nota da tempo, si è aggravata. E riguarda in particolare proprio quei giovani che hanno creduto nell’istruzione come leva di riscatto, crescita e realizzazione. Le motivazioni sono molteplici: difficoltà nel trovare occupazioni adeguate al proprio titolo di studio, retribuzioni basse, precarietà, scarsa valorizzazione del merito. È una fuga che spesso non è cercata, ma subita. E che racconta di una frattura tra aspettative e realtà, tra il desiderio di contribuire allo sviluppo del proprio paese e l’impossibilità concreta di farlo.

Eppure, è proprio dall’istruzione che può partire un nuovo percorso. Il Rapporto Istat evidenzia che, sebbene siano stati fatti progressi, l’Italia è ancora in ritardo rispetto al resto d’Europa: solo il 65,5 per cento degli adulti ha almeno un diploma e appena il 21,6 per cento è laureato.

La dispersione scolastica colpisce ancora quasi il 10 per cento dei giovani, in particolare nel Mezzogiorno e tra gli stranieri. E le disuguaglianze educative continuano a riflettere, e amplificare, quelle sociali ed economiche. In altre parole, chi nasce in una famiglia con basso livello di istruzione ha molte meno probabilità di completare un percorso scolastico di successo. Questo non è solo ingiusto: è inefficiente. È un freno alla crescita del paese.

C’è una speranza

Le competenze digitali, ormai imprescindibili, restano carenti: meno della metà degli italiani tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base. Un dato che limita la partecipazione piena alla società contemporanea e penalizza l’inserimento nel mondo del lavoro. Senza un investimento deciso in istruzione e formazione, non solo i giovani continueranno ad andare via, ma l’Italia sarà sempre meno in grado di affrontare le sfide globali, dalla transizione ecologica a quella tecnologica, dalla sanità all’industria.

Il quadro tracciato dall’Istat, per quanto serio, non è senza speranza. Anzi, è proprio nella consapevolezza della situazione che si apre lo spazio per un cambiamento autentico. L’Italia non manca di risorse. Ha una cultura solida, una scuola pubblica diffusa, università che formano con qualità, e – soprattutto – ha giovani che continuano a credere nel valore dello studio e del lavoro, che cercano spazi dove poter essere protagonisti, che chiedono solo di poter costruire qui il proprio futuro. La domanda che dobbiamo porci non è solo perché vanno via, ma come possiamo farli restare. E, ancora più importante, come possiamo farli tornare.

Le politiche per i giovani

Occorre ripensare le politiche per i giovani, non come interventi marginali, ma come un pilastro della visione strategica del paese. Un piano per l’istruzione che rafforzi gli investimenti nella scuola, nelle competenze, nella ricerca. Un mercato del lavoro che premi il merito, garantisca stabilità e riconosca il valore della conoscenza. Un’idea di cittadinanza che dia spazio ai sogni, senza obbligare a partire per realizzarli.

La fotografia dell’Italia scattata dal Rapporto Istat è chiara: siamo a un bivio. Possiamo continuare a perdere il nostro futuro, un giovane alla volta. Oppure possiamo decidere di invertire la rotta, con coraggio, visione e responsabilità. Non sarà facile e non sarà immediato, ma nulla è più urgente.

Il domani dell’Italia si scrive oggi, e passa dalle mani e dalle menti delle sue ragazze e dei suoi ragazzi. Non possiamo permetterci di voltare lo sguardo. Dobbiamo metterci al lavoro. Insieme.


Pierpaolo D’Urso è ordinario di Statistica e preside della Facoltà di Scienze politiche, sociologia, comunicazione dell’università La Sapienza di Roma

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