Secondo una celebre frase attribuita a George Orwell, il giornalismo è «l’atto di dare alle stampe ciò che qualcun altro non vorrebbe mai veder pubblicato: tutto il resto sono pubbliche relazioni». L’aforisma è semplicistico, ma il postulato è certamente corretto quando si fa giornalismo d’inchiesta. Che ha una funzione prioritaria, basica: portare sotto i riflettori vicende che il potere in ogni sua incarnazione (politica, economica, lobbistica o di apparato) vuole tenere nascoste alla pubblica opinione.

Domani è nato con la convinzione che una democrazia sana necessiti di cittadini informati. Messi in condizione di scegliere i loro rappresentanti non solo attraverso spin e propaganda che media e social diffondono senza quasi intermediazione, ma approfondendo notizie che riescano a svelare – quando è necessario – i lati oscuri di chi guida istituzioni pubbliche e aziende private. Un genere giornalistico che a parte poche eccezioni gode in Italia di poca fortuna, a causa di un’autocensura diffusa nella categoria, di editori ingombranti, di leggi e prassi che non consentono alla libertà di stampa di dispiegarsi appieno come previsto dalla Costituzione. La nostra democrazia è fragile anche perché figlia di questo deficit culturale.

In un anno di vita Domani ha provato a raccontare conflitti di interesse di parlamentari e ministri, segreti nascosti e vicende giudiziarie evitando logiche di parte o scandalismi. Con l’obiettivo di provare ad avvicinare la verità dei fatti evitando condizionamenti o scelte dettate da simpatie politiche personali: abbiamo indagato sulle consulenze di Matteo Renzi in Arabia Saudita, ci siamo occupati degli affari del segretario del Pd Enrico Letta a Parigi, e contemporaneamente delle fatture di Giuseppe Conte svelate dal faccendiere Piero Amara, passando dalle eredità misteriose del leghista Attilio Fontana ai rapporti dell’ex sottosegretario Durigon con uomini dei clan e i business del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro.

«Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere», diceva Giuseppe d’Avanzo. Convinto che libertà e buona informazione sono valori inscindibili, come dimostrato anche dall’investigazione sulle violenze della polizia penitenziaria sui detenuti inermi a Santa Maria Capua Vetere. Eventi ridimensionati e occultati per mesi anche da ministri tecnici considerati più capaci di populisti e vecchi impresentabili, eppure caduti anche loro nei soliti vizi del potere. Quelli che i giornalisti devono raccontare senza timore, nell’interesse unico dei lettori.

 

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