Piero Amara, l’avvocato dei misteri che ha da poco inguaiato con le sue dichiarazioni prima Luca Palamara e poi il presidente del Consiglio di stato Filippo Patroni Griffi, è un fiume in piena. “Facilitatore” con natali ad Augusta, provincia di Siracusa, ha deciso da qualche tempo di collaborare con la giustizia. E prima a Milano, poi a Roma infine a Perugia, Amara sta riempiendo centinaia di pagine di verbali (molti dei quali ancora segretati) che gli investigatori stanno esaminando. Per verificarne l’attendibilità, in primis. E per trovare riscontri ad accuse gravi che coinvolgono politici di partiti diversi, potenti assortiti e toghe d’ogni ordine e grado.

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Ora, in uno degli interrogatori davanti ai pm di Milano, Amara ha parlato – ha scoperto Domani – anche dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Raccontando di aver di fatto “raccomandato” il suo nome affinché l’avvocato di Volturara Appula ottenesse una consulenza dalla società Acqua Marcia, quando lo stesso, controllato al tempo da Francesco Bellavista Caltagirone, si avviava verso un concordato preventivo a causa di debiti per centinaia di milioni di euro con le banche. Una presunta segnalazione che avrebbe permesso a Conte, dice Amara, di ricevere contratti e conferimenti di incarico per circa 400mila euro, non tutti incassati.

Il nome di Conte, dice il Mr Wolf siciliano, gli sarebbe stato fatto direttamente da Michele Vietti: l’ex Udc, eletto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura nel 2010, sarebbe stato un importante referente di Amara (così almeno racconta ancora l'avvocato) nel mondo della politica, degli affari e della magistratura. Il testimone aggiunge a verbale che Vietti sarebbe stato a conoscenza del fatto che Bellavista Caltagirone doveva far omologare dal tribunale di Roma il concordato della sua azienda, in grave crisi di liquidità a partire dal 2011. «Vietti mi chiese così di parlare con Fabrizio Centofanti», aggiunge Amara. Centofanti è l’imprenditore diventato famoso perché accusato di aver corrotto Palamara, e che nel 2012 era gran capo delle relazioni istituzionali di Acqua Marcia, più consigliere con delega agli affari legali della spa. Ecco: proprio Centofanti, conclude Amara, avrebbe dovuto assumere come avvocati di Acqua Marcia non solo Conte, ma anche Guido Alpa ed Enrico Caratozzolo. Secondo Amara la nomina era condizione fondamentale «per riuscire a ottenere l’omologazione del concordato stesso».

Lettere e fatture

Non sappiamo se i nomi di Conte e di Alpa siano stati davvero “raccomandati” ad Amara da Vietti, né se è vero che quel concordato (che ha poi avuto l’ok del tribunale fallimentare di Roma) poteva davvero passare solo a seguito di quelle nomine caldeggiate a Centofanti da Amara. Sarà la magistratura perugina ad accertare la realtà dei fatti e la presenza di eventuali calunnie. Conte, sentito da Domani, smentisce categoricamente, annunciando denuncia per calunnia: «Mai visto Amara in vita mia, non ho avuto rapporti professionali nemmeno con Vietti, è surreale». Anche Vietti, sentito al telefono, smentisce le dichiarazioni del testimone: «Escludo categoricamente di aver mai raccomandato nessuno per Acqua Marcia, non ricordo nemmeno se ho mai conosciuto Amara. Non so perché mi tira in ballo, non ricordo nemmeno di avere avuto rapporti con lui».

Al netto delle dichiarazioni dell’ex legale dell’Eni e delle decisioni delle procure in merito alla sua attendibilità, però, Domani ha condotto un’indagine autonoma. Scoprendo – attraverso documenti aziendali, visure camerali e testimonianze incrociate – non solo che Centofanti ha confermato ai pm di Perugia che Amara gli ha chiesto di assumere Conte, ma che l’ex premier ha in effetti ottenuto consulenze dalla spa di Bellavista Caltagirone per centinaia di migliaia di euro. Affari (probabilmente del tutto leciti) di cui però finora nessuno sapeva nulla.

Centofanti ha aggiunto che, se è vero che Amara gli ha fatto il nome di Conte per una consulenza, lo stesso nome dell’ex premier era già sul suo tavolo, perché proposto dagli altri avvocati da lui precedentemente contattati per lavorare alla ristrutturazione del debito e al possibile concordato preventivo di Acqua Marcia. Cioè proprio Caratozzolo e Alpa, coadiuvati da Giuseppina Ivone. Chi sono? Catarozzolo, che compare anche come liquidatore di Acqua Marcia, è stato consigliere giuridico di Vietti quando quest’ultimo era sottosegretario al ministero della Giustizia, ma è anche un brillante legale assai stimato. Alpa è tra i principali giuristi italiani («non aveva certo bisogno della mia segnalazione» aggiunge Vietti) ed è maestro e mentore di Conte. Infine Ivone, avvocata cassazionista di fama, ha avviato uno studio a Roma diviso con il collega Fabrizio Di Marzio, condirettore insieme a Conte della rivista Giustizia civile.com (Ivone è nel comitato scientifico), e autore di un manuale sulla riforma della legge fallimentare con il solito Vietti.

Visti gli intrecci professionali e amicali tra i protagonisti è del tutto possibile, al netto della richiesta di Amara a Centofanti di cui lo stesso Conte forse nulla sapeva, che la proposta di scegliere l’ex premier sia stata fatta dallo stesso collegio difensivo.

«Amara Mente», chiude Vietti. Può essere. È certo, però, da altri documenti trovati da Domani che il 20 giugno 2012 Centofanti spedisca una lettera formale a Conte, per il «conferimento di un incarico professionale per la consulenza e l’elaborazione di pareri a beneficio della società dell’Acqua Pia Antica Marcia spa, nell’ambito dell’iniziativa Porto di Imperia, anche nell’interesse del controllante Acqua mare srl», cioè la società che aveva lavorato alla realizzazione dell’infrastruttura tanto cara all’ex ministro Claudio Scajola. Ora dalle visure camerali risulta, a sorpresa, che nel cda della società Acquamare sedeva in quei mesi non solo Centofanti, ma anche Amara.

All’«illustrissimo professore», Centofanti e Camillo Bellavista Caltagirone (il padre Francesco era stato arrestato qualche mese prima nell’inchiesta sul porto di Imperia, vicenda da cui è stato assolto, e non poteva firmare deleghe o incarichi di consulenza) chiedono una serie di pareri legali e «una ricognizione dei rapporti giuridici» della Acquamare, «rapporti che coinvolgono anche la capogruppo». Il tutto per «potere completare la predisposizione di un piano di risanamento funzionale e/o alla presentazione di un concordato preventivo o anche di un accordo di ristrutturazione dei debiti». Insomma, il compito di Conte era quello di rivedere il contenzioso della società.

Solo per l’espletamento di questo incarico per Acquamare, Centofanti comunica al futuro presidente del Consiglio che «le sarà corrisposto un compenso pari a 150mila euro, oltre accessori di legge come Iva e cpa». Fonti vicine al concordato segnalano che Conte avrebbe fornito pareri anche per altre società controllate da Acqua Marcia (in tutto erano oltre venti, ognuna con un suo concordato e un commissario liquidatore) e che l’accordo finale con la società di Bellavista sarebbe stato di 400mila euro complessivi.

Una cifra troppo elevata per il lavoro effettivamente svolto, ha ipotizzato Amara. Conte invece, anche se non ricorda quanto ha incassato alla fine («probabilmente molto meno») dice che le cifre sono assolutamente congrue, visto che «io ho lavorato al contenzioso per tutte le società del gruppo. Non ricordo se la lettera d’incarico era firmata da Centofanti». Di sicuro ancora il 23 maggio 2014 Conte fatturava alla spa di Caltagirone oltre 50mila euro, come «saldo dei compensi relativi all’elaborazione del parere relativo» a una fideiussione «rilasciata dalla Società Acqua Pia Antica Marcia spa in favore della controllata Acquamare». Un parere tecnico di 17 pagine consegnato a dicembre 2012 che Domani ha potuto visionare.

Al di là delle supposizione di Amara, fino a prova contraria i compensi di Conte garantiti prima da Centofanti e poi dai nuovi amministratori del gruppo (Tiziano Onesti ne è diventato il presidente) sono del tutto legittimi. C’è però un’altra vecchia vicenda che – collegata a quella delle consulenze per Acqua Marcia di cui nulla finora si sapeva – apre nuovi interrogativi.

Mistero veneziano

Conte e lo studio Alpa (che secondo Amara avrebbe preso da Acqua Marcia una parcella di circa un milione di euro) hanno lavorato per la spa di Bellavista Caltagirone per mesi. L’impero dell’immobiliarista, prima di sfiorare il fallimento per un debito superiore al miliardo contratto con le banche, spaziava dai palazzi ai porti, dagli aeroporti ai servizi finanziari e alla comunicazione. Fino ai grandi alberghi di lusso della Sicilia, come Villa Igiea e Des Palmes di Palermo, San Domenico a Taormina, Des Etrangers a Siracusa e i due Excelsior di Catania e Palermo. Tutti passati di mano nel corso degli anni.

Un altro grande albergo controllato allora dal gruppo, vero fiore all’occhiello di Bellavista Caltagirone, era il Molino Stucky, stupenda struttura extralusso che sorge sull’isola della Giudecca, a Venezia. Un hotel gigantesco da 379 stanze possedute tramite un’altra controllata di Acqua Marcia, la Grand hotel Molino Stucky srl (Ghms srl), anche lei finita in concordato preventivo a luglio 2013, dopo l’ok del tribunale fallimentare di Roma. Per la cronaca, il giudice delegato era Claudio Tedeschi.

L’idea iniziale – leggendo le carte del tribunale – era quella di liquidare l’intero patrimonio societario, in modo da pagare il debito da 280 milioni di euro vantato dalle banche creditrici. Su tutti Unicredit e Royal Bank of Scotland, che nel 2008 avevano erogato un finanziamento a Bellavista da 250 milioni di euro, mutuo necessario all’imprenditore romano per comprasi l’hotel.

Per mesi i giornali ipotizzano aste tra i maggiori fondi internazionali, anche perché, secondo una prima perizia, il valore dell’albergo era di ben 350 milioni di euro.

Non solo per la bellezza e la posizione dell’edificio, ma anche in virtù di un contratto d’affitto blindato da 14,5 milioni di euro l’anno garantiti da Hilton, la multinazionale che ha da anni in gestione la struttura. Considerando una redditività del 5 per cento del bene affittato, il Molino varrebbe almeno 300 milioni, cifra prudenziale inserita non a caso nel piano concordatario.

Nel 2015 è stata creata una nuova società quasi omonima, la Ghms Venezia spa: qualcuno ipotizza, oltre all’asta, che le banche possano decidere di rilevare le azioni e diventare proprietarie della struttura con affitto sicuro incorporato.

Grandi fondi americani e di Singapore si dicono interessati. Ma a sorpresa, in breve tempo, l’albergo da sogno finisce nelle mani di un imprenditore pugliese sconosciuto alle cronache nazionali, Leonardo Marseglia. Che riesce a comprarsi, attraverso un veicolo di cartolarizzazione costruito ad hoc, i crediti deteriorati delle banche. Sborsando però non 280 milioni, ma solo 145. Di cui – risulta a Domani – 25 in equity (cioè grazie a risorse proprie) e altri 120 milioni finanziati di nuovo dagli stessi istituti di credito, che si trovano in pegno le quote della nuova società che controlla l’albergo. Per Marseglia è un capolavoro finanziario.

Arriva Conte

L’imprenditore di Ostuni che ha sbaragliato la concorrenza e messo d’accordo banche e soprattutto amministratori del concordato e giudici ha fatto tutto da solo? Sappiamo che Conte ha certamente lavorato come consulente al concordato per l’Acqua Marcia, che controllava l’albergo veneziano, fatturando centinaia di migliaia di euro. Eppure Marseglia – appena presa la società dal concordato – piazza proprio il giurista pugliese nel nuovo cda della Ghsm Venezia. È il novembre del 2015, e Conte resterà socio d’affari di Marseglia fino a dicembre 2017. «È solo un incarico onorifico», dice en passant Marseglia nel maggio del 2018. Ma nella stessa intervista a Repubblica, che lo chiama per chiedergli l’origine della loro amicizia, si lascia sfuggire che sarebbe stato il neopremier in persona ad aiutarlo (non dice in che veste) nell’affare del secolo. «Il Molino Stucky era una operazione delicatissima» dice a Giuliano Foschini. «Come avversari avevamo i più importanti fondi immobiliari del mondo. Era impossibile. E invece ce l’abbiamo fatta, soprattutto grazie a Conte». Conte, si scopre ora, aveva un incarico a pagamento con Marseglia.

Qualcuno ora potrebbe gridare al conflitto d’interessi potenziale, dal momento che Conte ha lavorato prima come consulente di Acqua Marcia (di cui conosceva i documenti del concordato) poi con Marseglia, che di quel concordato ha beneficiato. «Lei adombra una mia condotta professionale impropria» dice Conte «Le chiarisco che il mio incarico per Acqua Marcia e quello successivo per HGMS non sono ai entrati in conflitto. Trattasi di epoche diverse: la prima risale al 2012-13, mentre l’incarico per Marseglia risale a due anni dopo. E comunque il contenuto dell’incarico non era tale da creare potenziali conflitti, perché la documentazione posta in data room per consentire a tutti gli interessati di visionare e valutare gli assets era completa e identica per tutti e semmai dopo qualche anno ancora più ricca».

Pentito o millantatore?

Gli affari segreti di Conte sono quelli di un avvocato d’affari di successo, probabilmente leciti, ma i comportamenti e le relazioni non sembrano somigliare molto a quelli dell’homo novus senza macchia descritto dalla propaganda del Movimento 5 Stelle. Questo senza considerare le dichiarazioni di Amara che, fossero confermati i fatti raccontati, porterebbe la vicenda su un piano diverso e più scivoloso.

I magistrati milanesi che hanno raccolto le parole di Amara tra fine 2019 e inizio 2020 si muovono con cautela. Tanto che nessun fascicolo di reato è stato finora aperto sulla vicenda Acqua Marcia. La storia è arrivata di recente anche sulla scrivania di Raffaele Cantone, neo procuratore capo della procura di Perugia, perché (indirettamente e senza fare nomi) Amara ipotizza il coinvolgimento nella vicenda dei giudici della fallimentare romani, di cui sono competenti gli uffici giudiziari della città umbra.

Non solo, i nemici di Amara considerano l’avvocato un depistatore professionista (è indagato a Milano per aver creato un falso dossier per sviare le indagini su Eni) un potenziale calunniatore mosso da interessi oscuri che – per salvare sé stesso – avrebbe inventato circostanze false, al solo fine di sembrare un testimone utile all’accusa.

D’altro canto sono molti i pm che negli ultimi anni stanno prendendo molto sul serio le dichiarazioni auto-vetero accusatorie di Amara e del suo collaboratore più stretto, Giuseppe Calafiore. È vero che la procura di Brescia ha archiviato il fascicolo sul giudice Marco Tremolada, tirato in ballo da Amara in merito a un ipotetico accesso privilegiato che i difensori di Eni avrebbero avuto con lui, cioè il presidente del collegio del processo Eni che ha da poco assolto tutti gli imputati. In quel caso, però, lo stesso Amara aveva riferito parole de relato, senza fare accuse specifiche, tanto che non risulta essere stato poi indagato per calunnia.

Quando Amara si autoaccusa di reati e descrive circostanze di cui è stato testimone, però, più di un magistrato sembra dargli credito: una recente sentenza della Corte d’appello sul giudice corrotto Nicola Russo definisce Amara «pienamente credibile», per «completezza, precisione, coerenza interna, ragionevolezza delle accuse», evidenziando anche la mancanza di volontà di «vendetta, o inimicizia e rancori». Anche il fatto che Amara sia interessato a patteggiare pene più miti accusando e autoaccusandosi, secondo i giudici romani «non intacca affatto la credibilità delle accuse fornite» sul caso Russo.

Un’altra sentenza del gup di Roma, dopo che le dichiarazioni di Amara e Calafiore hanno portato sul banco degli imputati alcuni magistrati amministrativi accusati di corruzione in atti giudiziari (Riccardo Virgilio e Raffaele De Lipsis hanno poi patteggiato, ma i verbali di Amara hanno creato problemi anche a Luigi Pietro Caruso), evidenzia l’attendibilità dei due testimoni: «Entrambi gli imputati meritano il riconoscimento della circostanza attenuante in dipendenza dell’indiscutibile, efficace contributo fornito nel corso delle indagini per un proficuo inquadramento della vicenda investigata e per l’individuazione degli altri soggetti coinvolti negli accordi corruttivi». Toni e parole simili dalla procura di Catania che nell’agosto scorso ha scritto come «Amara e Calafiore hanno reso dichiarazioni eteroaccusatorie davanti agli uffici giudiziari di Roma, Messina e Palermo tutte riscontrate. Al momento devono quindi ritenersi soggetti che stanno collaborando con la giustizia».

Vedremo se le nuove dichiarazioni su Acqua Marcia saranno considerate altrettanto attendibili, oppure no. L’ultima “vittima” di Amara, il presidente del Consiglio di stato Filippo Patroni Griffi indagato con il lobbista per induzione indebita per la presunta raccomandazione di una sua amica, ha negato con forza ogni addebito, e ha fatto esposto in procura a Roma per calunnia contro l’ex avvocato dell’Eni.

Sia davvero un pentito genuino o un geniale mestatore capace di ingannare (e far perdere anni) alle più importanti procure italiane, un fatto è certo: di Amara sentiremo parlare ancora a lungo.

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