Il presidente ha tenuto la regia del blocco delle finanze federali con grande abilità. Sul sito web della Casa Bianca, un contatore mostrava in tempo reale la sua durata, attribuendo tutte la responsabilità ai democratici. Così i siti istituzionali del governo vengono progressivamente piegati a un uso politico. Il costo economico è stato calcolato in 12 miliardi di dollari
Lo shutdown negli Stati Uniti è stato il più lungo della storia americana. Dichiarato alla mezzanotte del 30 settembre, ha superato i 40 giorni, tenendo oltre 900mila dipendenti federali in congedo senza stipendio, mentre altri 2 milioni – in settori considerati essenziali, come difesa, trasporti e sicurezza – hanno lavorato senza compenso immediato.
Circa 30 agenzie federali hanno sospeso i servizi al pubblico, con disagi sempre maggiori, tra cui oltre 5mila voli cancellati o in ritardo. Un costo economico – in termini di Pil perso e mancati salari – che ci vorrà del tempo per misurare, ma che secondo le prime stime supera i 12 miliardi di dollari.
A parte la durata eccezionale, lo shutdown non è ormai più una circostanza eccezionale negli Stati Uniti. La sempre maggiore polarizzazione e deterioramento del dibattito politico porta sempre democratici e repubblicani allo scontro finale, quando si tratta di approvare la legge di bilancio, con l’autorizzazione alla spesa pubblica. Con la complicazione tutta statunitense per cui – almeno al Senato – la semplice maggioranza politica non ce la fa, perché servono 60 voti su 100 per superare l’ostruzionismo parlamentare della controparte. E così, se si arriva al 1 ottobre – inizio del nuovo esercizio finanziario – senza bilancio, la Casa Bianca è costituzionalmente tenuta a sospendere i servizi federali: neanche un dollaro può esser speso senza autorizzazione parlamentare.
Ovviamente, nell’era Trump, anche lo shutdown finisce nella grande giostra mediatica di cui il presidente tiene abilmente la regia. Subito dopo la dichiarazione della sospensione, sul sito web della Casa Bianca era stata attivato un Government Shutdown Clock, che mostra in tempo reale la durata dello shutdown con un contatore e un testo che attribuisce senza remore la responsabilità del blocco tutta ai democratici: «Democrat leaders rejected a clean continuing resolution – Americans deserve better». Il sito è stato rilanciato sui profili ufficiali del presidente e dei membri del governo, diventando il fulcro di una campagna comunicativa coordinata che trasforma la crisi istituzionale in un dispositivo di mobilitazione politica.
Il Government Shutdown Clock non si limita a segnalare il trascorrere del tempo durante l’emergenza, ma costruisce una vera e propria messa in scena pubblica della crisi, in cui ogni minuto diventa parte di un discorso politico più ampio. Con l’inizio del blocco, inoltre, su alcuni siti istituzionali sono apparsi banner e comunicati con slogan come «Radical Left Democrats shut down the government».
In parallelo, e-mail interne inviate a migliaia di dipendenti federali avrebbero rilanciato lo stesso messaggio, attribuendo ai leader democratici del congresso la responsabilità del blocco.
La cosa è stata denunciata da alcune organizzazioni per la trasparenza amministrativa, che hanno presentato reclami formali al Government Accountability Office e all’Office of Special Counsel. La legge, infatti, vieta ai funzionari pubblici di utilizzare risorse governative a fini politici.
Naturalmente, ogni accusa è stata respinta dalla portavoce della Casa Bianca, ma, nel gioco delle parti, non c’era ragione di attendersi diversamente. In un contesto di paralisi istituzionale, Donald Trump riesce a trasformare la crisi stessa in un’occasione di legittimazione politica, utilizzando la narrazione come strumento di consenso diretto.
Mentre lo shutdown bloccava l’amministrazione privando i cittadini di servizi essenziali, la presenza digitale presidenziale si amplificava e si faceva più pervasiva. Insomma, i siti istituzionali, nati per informare in modo neutrale, vengono progressivamente piegati a un uso politico, trasformandosi in strumenti di narrazione orientata e, talvolta, di propaganda.
La crisi si riflette, così, anche sul piano etico-istituzionale: l’emergenza finanziaria diventa l’ulteriore pretesto per ridefinire, e in parte confondere, la linea di demarcazione tra informazione pubblica e comunicazione politica.
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