È sinceramente penoso vedere con quanto disprezzo venga trattata la protesta “delle tende” degli studenti da molti opinion makers, le cui opinioni rimbalzano sui social amplificate, trovando consenso e incitando derisione.

La protesta degli studenti per il caro affitti denuncia un problema vero, che affligge molte famiglie e di cui, peraltro, quello degli studenti non è che la punta di un iceberg. Eppure, tanto nei giornali moderati (che moderati non sono ormai più, nei toni e nelle posizioni) che in quelli di destra, la vistosa e molto pacifica protesta è stata irrisa, nei titoli come nei contenuti, rivelando un panorama meschino che nasconde un odio dalla bava schiumeggiante che fa rabbrividire.

Rancore verso il basso

Ha ragione Gustavo Zagrebelsky a lamentare come in questo paese si rischia di fomentare l’odio sociale con politiche divisive. Quell’odio esiste e lo vediamo affiorare ormai costantemente, manifestarsi in ogni occasione in cui si può rimarcare una divisione, un motivo di dissidio, un conflitto. E ciò che appare più rimarchevole – e per certi versi inedito – è che quel rancore sembra avere caratteristiche di «classe», per certi versi, ma non del tipo che ci si sarebbe aspettati in passato – l’odio dei poveri contro i ricchi – quanto di quella tipologia già affiorata più di recente, in più di una circostanza, che esprime piuttosto l’odio delle classi medie verso chi sta più sotto.

Nel disprezzo verso gli studenti che protestano – con affermazioni del tipo «andate a studiare, invece di fare campeggio», «io ai miei tempi studiavo e facevo il barista per arrotondare», «prendete il treno e fate i pendolari» – c’è tutto il rancore represso di chi a fatica è salito di qualche gradino nella scala sociale ma è ancora ben in fondo, rispetto alle ambizioni che aveva, e guarda con fastidio a chi sta meglio e ha più benefici – di classe, di origine, di status – che non gli sono concessi o, magari, che non vuole condividere con altri.

Le classi medio-basse

Il rancore delle classi medie e medio-basse ha una storia lunga ed è stato in passato ampiamente documentato e studiato. La letteratura ci ha offerto illustri esempi di travet frustrati, di professionisti incattiviti, di parvenu timorosi di perdere l’accesso alle élite tanto agognate.

Oggi, che le classi medie si sono estese – sociologicamente, per tipo di professione e condizioni – e che includono tipologie sociali molto eterogenee, non ci troviamo più di fronte a ceti che hanno visto la loro condizione migliorare, né individualmente né rispetto alla famiglia di origine, soprattutto nelle fasce medio-basse (in termini di reddito).

La classe media, oggi, è forse il gruppo sociale che più ha sofferto l’incedere della società neoliberista della globalizzazione, se non fosse per la perdita di status, reddito, e aspirazioni che aveva solo un trentennio fa. Peraltro, molto è stato scritto su come la classe media sia quella che più ha maturato sentimenti contro l’immigrazione, la globalizzazione, la perdita di “identità” (culturale, locale).

Sentimenti che sono senz’altro stati fatti propri anche da (parte) delle classi popolari, quelle che più hanno sentito la minaccia concreta del «cambiare del mondo» e contro il quale si sono sentite più indifese. Ma che nelle classi medio-basse oggi si manifestano in modo più plateale. Lo status, i diritti e i piccoli privilegi acquisiti, ovviamente, sono i ceti medio-bassi che più hanno timore di perderli, non quelli che non ne hanno (anche se c’è sempre chi sta peggio).

I voti della destra

È, forse, quella che un tempo si sarebbe chiamata maggioranza silenziosa, o almeno ne è una parte, che oggi silenziosa non è più. I ceti poveri, i meno protetti, possono solo protestare e non fanno neanche più quello. Come spiegare altrimenti la rivolta sociale che non c’è per i livelli di salario, il lavoro precario, le morti sul lavoro, la disoccupazione, il mancato sussidio alle fasce povere, il caro affitti e via dicendo? La rassegnazione ha ammorbato questo nostro corpo sociale e in essa emerge il rancore delle classi medio-basse.

Che viene amplificato e fomentato dagli opinion makers. Un paese disuguale, diviso, viene sovreccitato da questi seminatori di disprezzo. Cui fanno eco politici della stessa risma, oggi più legittimati a parlare. Ma non è, come si sente dire, perché «il paese si è spostato a destra».

La destra avrà pur vinto le elezioni ed è al governo. La destra, i cui 12,3 milioni di voti sono persino un po’ meno di quelli di cinque anni fa, non ha, però, accresciuto i suoi consensi nel paese. Il suo bacino di elettori è sempre quello, quelle classi alte, medie e medio-basse, con anche sacche di ceti popolari, che la votano ormai da anni. Sono gli altri che non sono più andati a votare, delusi, rassegnati.

Fermare l’odio sociale

Se gli opinion makers e la stampa – da destra fino ai giornali mainstream – oggi corteggiano il potere anche nel linguaggio e nei modi, è perché così vogliono, mostrando un asservimento che è uno degli indici della povertà culturale di questa Italia. Per chi scrive e vuole fare opinione dovrebbe essere questo un momento di responsabilità: per non spingere il paese nel baratro, che già è tanto diviso, non incitando all’odio, ma cercando di capire, di venire incontro, di offrire soluzioni.

Gli affitti nelle città, per tornare alla ragione della protesta, sono un problema che nasce dalla gentrificazione, dall’avere lasciato che i privati – delle classi medie – potessero godere di Airbnb e altri vantaggi, sfruttando così la turistizzazione delle nostre grandi città, oltreché dalla cronica mancanza di edilizia popolare.

Fu un governo di centrosinistra ad abolire l’equo canone, è stato il centrosinistra a favorire le soluzioni private (come ad esempio gli studentati), con l’idea di «andare incontro ai cittadini» (che sono poi le classi medie).

E, ancora oggi, è il centrosinistra a perdere nello scontro, ora che la destra è al potere, nel volersi tenere buoni i ceti medi, perché così non fa che allontanare coloro che, a parole, dice di voler sostenere. Il vero problema dell’Italia è quello di attrarre studenti nelle università (siamo il paese in Europa che ne ha meno, in percentuale), di fare sì che uno studente del sud non debba andare al nord, di non farli emigrare all’estero.

E si dovrebbe fare di tutto per poterli far studiare, intervenendo, non lasciando che sia il mercato a risolvere il problema («se gli affitti sono cari, cosa possiamo farci?»). Non certamente fomentando l’odio sociale, come fanno quegli opinion makers che in altri tempi sarebbero stati irrisi per la loro stupidità (ah, ci fossero un Grozs, un Brecht, un Kraus!).

© Riproduzione riservata