Sembra che per la prima volta al mondo si vada in Italia alla formazione di un governo di coalizione con inevitabili tensioni e conflitti.

Eppure, in Svezia nelle tre settimane dalle elezioni il centro ha dovuto addirittura chiedere il sostegno esterno dei Democratici svedesi, destra populista sovranista.

Nei governi di coalizione spesso “impazza” anche il toto ministri: ci sono ministeri più importanti di altri e ministeri preferiti dai capi dei partiti che compongono la coalizione poiché, più che avere soluzioni a quei problemi, pensano che portino voti.

Anche questo accade dappertutto e richiede tempo. In Germania, il governo guidato dal socialdemocratico Scholz e sostenuto da Verdi e Liberali ha avuto bisogno di più di due mesi dalle elezioni prima di entrare in carica.

Tedesco è sicuramente il proverbio “i partiti frettolosi fanno governi ciechi”.

A tutti i governi di coalizione, le associazioni di vario tipo, a meno che non siano state disintermediate, i commentatori politici, i partiti di opposizione chiedono ministri di alto profilo, politici, ma, insomma, anche tecnici.

Sempre il capo del governo e i suoi collaboratori promettono il meglio del meglio, qualcuno accentuando la qualità della competenza, altri indicando come fattore qualificante l’esperienza, altri ancora si spingono a ritenere indispensabile il riconoscimento esplicito della preminenza del capo di governo.

Anche altrove e, per usare il politichese, “non da oggi”, quando si produce un cambio sostanziale nella compagine di governo (non è, con buona pace di commentatori superficiali un’alternanza totale poiché due dei tre partiti hanno avuto responsabilità rilevanti nel precedente governo), fra i “nuovi” governanti serpeggia il timore che la burocrazia e affini, ovvero il deep State, si preparino ad ostacolare, sabotare le attività del governo, le sue politiche specialmente se innovative.

Di qui la richiesta di lealtà istituzionale.

  A questo punto, dovrei scrivere “tanta roba”, ma il moralista che è in me afferma al contrario che la richiesta deve essere fatta e che la lealtà deve valere come criterio per il reclutamento e la valutazione delle prestazioni anche dei ministri pena l’immediata estromissione.

Sappiamo, però, quanto difficile all’occorrenza è stato in Italia licenziare ministri sleali.

Giusta, quindi, e apprezzabile la cautela di Giorgia Meloni. Sottotraccia c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico.

In un paio di ministeri si annidano ancora persistenti e insistenti grandi opportunità di conflitti di interessi.

E, allora, si facciano avanti ministri competenti, esperti, leali, che non rappresentino gli interessi giudiziari e imprenditoriali di qualche capo partito. In materia, altrove, nelle democrazie europee non trovo paragoni appropriati.

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