«Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, evidentemente obnubilato da un rancore montante (che comprendo), mi definisce in televisione una “cortigiana”» scrive Giorgia Meloni sui suoi canali ufficiali. Il j’accuse si riferisce a uno scambio televisivo tra Landini e Giovanni Floris, durante il quale viene effettivamente usata questa parola, con un complemento di specificazione preciso: cortigiana di Trump.

Un termine «in qualche modo sessista», dice subito il presentatore per correggere il tiro, «stare alla corte di Donald Trump, essere il portaborse», aggiunge il segretario per rimpinguare la metafora. Al netto del significato arcaico della parola (che nel post viene omesso), delle sfumature dei nostri lemmi che cambiano notevolmente a seconda del genere con cui si declinano e della morte del contesto, un lutto difficile da metabolizzare, Meloni ha diritto a criticare l’ambiguità.

Gli altri sessismi 

Avremmo però apprezzato una reazione simile anche alle parole sessiste travestite da lusinghe del presidente degli Stati Uniti che, di fronte al mondo intero, ci ha tenuto a dire quanto fosse bella e giovane, chiudendo col classico lamento non-si-può-più-dire-nientista. O alla strigliata paternalista di Erdogan: ti trovo bene, ma smettila di fumare. Manco si stesse rivolgendo alla nipote adolescente che al cenone di Natale si apparta con le Vogue al mentolo. Meloni parla di «splendida diapositiva della sinistra», ma anche la denuncia selettiva a misura di vittimismo non scherza come istantanea del contemporaneo.

Approfittando della gaffe di Landini, nella speranza che il futuro ci riservi meno doppi pesi, suggeriamo la lettura del bellissimo trattato di Baldassarre Castiglione, Il Cortegiano, articolo maschile a misura di presidente.

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