Siamo così impegnati a discutere delle partecipazioni del professor Alessandro Orsini in tv, che in Italia abbiamo ormai perso di vista non soltanto la guerra, ma anche la catastrofe economica al rallentatore che si sta consumando sullo sfondo.

Nessuno vuole la recessione, molti fanno la loro parte per evitarla, ma proprio queste azioni la rendono inevitabile.

Il Nasdaq, l’indica dei titoli tecnologici a Wall Street, ieri è crollato del 5 per cento. L’indice di riferimento delle grandi aziende, S&P, da inizio anno ha perso il 13 per cento.

bolla che in questi anni è stata gonfiata dalla politica monetaria prima e fiscale poi si sta sgonfiando: l’inizio della fase di aumento dei tassi di interesse rende di nuovo le obbligazioni relativamente più appetibili, molte delle distorsioni causate dalla pandemia si stanno normalizzando (la gente torna a fare altre cose oltre a guardare Netflix e fare acquisti su Amazon), la guerra cancella gli effetti espansive delle politiche fiscali post-Covid proprio mentre le banche centrali si vedono costrette ad alzare i tassi per fermare l’inflazione.

Il problema è che se le aspettative sui prezzi sono dettate dall’andamento dell’energia, presto si innescherà una spirale di rincari che  neppure i banchieri centrali riusciranno a contenere (il costo del denaro può ridurre la domanda di molti beni ma solo indirettamente di energia).

La scelta della Federal Reserve di alzare i tassi di interesse dello 0,5 per cento mercoledì era ampiamente prevista, ma i mercati prima si sono disperatamente aggrappati a qualche indizio di ottimismo, per dimostrare che la stretta sarà più morbida. E poi sono crollati quando hanno capito che di appigli per sperare non ce n’erano. Anche la Bank of England alza i tassi, dopo la Banca centrale australiana e altre.

La lista dei problemi nel nostro ricco mondo occidentale ci pare lunga, ma è niente confrontata a quello che stanno vivendo i paesi in via di sviluppo.

Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, l’inflazione attesa per il 2022 è del 5,7 per cento nel 2022 e del 2,5 nel 2023 nei paesi ricchi, ma dell’8,7 e del 6,5 in quelli più poveri.

La perdita di potere d’acquisto per chi ha redditi bassi rischia di essere drammatica, soprattutto perché diventerà più complicato acquistare beni di prima necessità (il crollo delle esportazioni agricole dalla Russia e dall’Ucraina è parte del problema). Facile immaginare altre ondate migratorie che si sommeranno ai rifugiati ucraini.  

L’Italia, come sempre, è l’anello fragile della catena dei paesi industrializzati. Invece che di Orsini e propagandisti vari, è di questo che si dovrebbe discutere in tv e sui giornali.

© Riproduzione riservata