Come specie umana abitiamo questo pianeta da almeno 200.000 anni. In questo lunghissimo arco di tempo sono ovviamente cambiate molte cose, il modo in cui ci muoviamo, in cui parliamo, gli oggetti che usiamo, i nostri usi, i vestiti, gli utensili, le abitudini, le credenze, i pensieri.

Ma c’è un fatto che non è mai cambiato: avere un corpo. Abbiamo un corpo da sempre, anzi, avere un corpo è, sostanzialmente, il modo attraverso cui esistiamo.

Eppure fare pace con questa cosa del corpo sembra ancora un miraggio difficilissimo da raggiungere, quasi quanto il quorum ai referendum. La questione che sembra essere più difficile da superare è quella strana malattia del pensiero che io uso chiamare: body sceming. L’usanza, così diffusa, di pensare il corpo, in maniera, semplicemente, scema, ovvero giudicandolo.

Per quanti post di Instagram politically correct si possano fare, per quante campagne di Victoria’s secret con modelle curvy possano esserci, nonostante la santificazione di rughe, cellulite e smagliature che oramai si vede in ogni dove, noi, collettivamente, a non giudicare i corpi, semplicemente, non ce la facciamo.

Da Incontrada a Kardashian

Negli ultimi tempi si sono susseguiti: una foto di Vanessa Incontrada in costume, diventa virale perché chi l’ha guardata ha pensato “ammazza come si è ingrassata”, e successivamente “ammazza che stronzi a pubblicarla così ingrassata”, in un cortocircuito in cui chi chiede che il corpo non venga giudicato sta egli stesso giudicando.

Successivamente la fantastica uscita del papa che ha consigliato alle giovani di non farsi ritocchi estetici e di prendere esempio da Anna Magnani, che si teneva tutte le sue rughe. A parte che se vogliamo citare la Magnani bisognerebbe citare anche Simonetta, la povera truccatrice della Magnani costretta a lasciarle tutte le rughe sulla faccia, contro ogni principio del make-up (sketch magistrale di Emanuela Fanelli).

Eppure il papa dice spesso cose sensate tipo: «Amatevi gli uni con gli altri», «siamo tutti fratelli», «abbiate il coraggio di essere felici» (che potrebbe benissimo essere una frase di Giu Evan). Ma questa cosa che i corpi – che siano maschili o femminili o X – non si controllano, non si giudicano, non si tacciano di errore, nel 2022, ancora non è chiara.

Ed è così che nell’epoca in cui ogni persona si deve sentire libera di essere sé stessa quelle che si sentono liberamente sé stesse nel fare ritocchi di chirurgia estetica subiscono la più grande valanga di insulti di sempre. Un esempio ce lo danno i commenti sotto a qualunque foto/video/storia di Madonna.

Nessuno le perdona di essersi fatta gli interventi estetici che voleva, nessuno le perdona di stare “invecchiando male”, come se esistesse un manuale del perfetto invecchiamento per la donna di classe, redatto direttamente da Audrey Hepburn, a cui tutte le non più fanciulle dovrebbero ispirarsi per non farsi dare della “busta di plastica” sui social.

Eppure Madonna applica a sé stessa il modello della body positivity: il corpo è mio e devo starci bene io. Concetto che va bene solo finché quel corpo risponde comunque a un modello che il mondo esterno percepisce come naturale (non importa se lo sia o meno).

Altro eclatante esempio è la faccenda del vestito di Marilyn Monroe indossato da Kim Kardashian al Met Gala. La notizia è che il vestito, dopo essere stato indossato da Kardashian, ha riportato dei danni «irreparabili». È diventata virale la foto che compara il retro del vestito primo di essere indossato dalla formosa Kim e dopo. Il tessuto è slabbrato in alcuni punti, la cerniera regge appena e mancano diversi cristalli. Il popolo social è impazzito e si è gridato all’oltraggio: come ha osato quel personaggio volgarotto profanare quel gioiello indossato da una diva così iconica?

A parte il fatto che quel vestito ha 60 anni e si slaccerebbe anche se Marilyn Monroe risorgesse e lo indossasse lei in persona con la stessa forma che aveva quella sera del 1962 ma, detto questo, ho più il sospetto che il problema principale, nella testa di chi si sente offeso da questo gesto, sia, tecnicamente, il culo.

Eh sì perché il culo di Kim Kardashian, nonostante la dieta lampo fatta per entrare nel vestito, rimane comunque un muscolo tondeggiante di dimensioni particolarmente espansive. Una forma sicuramente poco “naturale”, così come tutte le forme e l’aspetto in generale della ex signora West. Non si perdona che il vestito di una fascinosa diva degli anni ’50 sia stato indossato da una star di Instagram, tutta filtri, filler e botox.

E lo si fa nello stesso periodo storico in cui si grida alla liberazione dei corpi dai giudizi, dagli standard, dalle costrizioni. Insomma non giudichiamo nessun corpo, a meno che non sia un corpo rifatto (o che ci sembra rifatto), in quel caso si può giudicare eccome.

Mi chiedo se lo stesso abito lo avesse indossato, come omaggio, la leggiadra Natalie Portman, con il suo aspetto così nature, la classe della ragazza acqua, sapone e ballerine, e quell’aria da “il Botox è il male”, ci sarebbero state le stesse polemiche? Probabilmente no.

Perché quello che ci fa arrabbiare non è il fatto che qualcuno abbia indossato un abito di Marilyn, ma il fatto che lo abbia indossato “una rifattona”. E nonostante le battaglie degli ultimi anni noi, le rifattone, non riusciamo a perdonarle mai. Che poi Marilyn Monroe si era rifatta attaccatura dei capelli, naso, e mento. Era una “rifattona” pure lei. E ora come la mettiamo?

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