Le travagliate vicende della crisi e le possibilità che si vada al voto riportano l’attenzione sull’instabilità dei governi e sui suoi legami con il sistema elettorale. Le diverse componenti della coalizione andata in crisi avevano assunto l’impegno di introdurre un sistema elettorale proporzionale con sbarramento (in ipotesi al 5%). Dal 1993, con la Legge Mattarella, in Italia è stato cancellato il proporzionale classico e sono stati sperimentati sistemi elettorali di impostazione proporzionale ma corretti in misura significativa con quote maggioritarie o premi di governabilità variamente assegnati ( a rigore un sistema proporzionale con premio di maggioranza non è un sistema maggioritario).

Se l’uscita dalla crisi porterà alle elezioni, si andrà a votare col vecchio sistema misto in vigore (il Rosatellum). Se invece si dovesse formare un nuovo governo è più probabile che si riproponga la questione di tornare pienamente al sistema proporzionale come un elemento rilevante per la costruzione della nuova coalizione. Certo è che nei grandi giornali nazionali sono già scesi in campo prestigiosi editorialisti a manifestare le consuete preoccupazioni e lamentele per l’eventuale ritorno al sistema proporzionale, come ha già notato ieri su queste pagine Gianfranco Pasquino.

In realtà non c’è da stupirsi che ciò avvenga, dato che da più di un trentennio prevale nettamente un’idea di riforma delle nostre istituzioni politiche centrata sul sistema elettorale maggioritario. Un’egemonia culturale solida, con ampie radici anche nella cultura della sinistra riformista italiana, come alcuni interventi recenti – da Walter Veltroni a Romano Prodi – hanno confermato. Ma siamo sicuri che tale egemonia sia ben fondata e che aiuti la democrazia italiana a funzionare meglio, e i partiti di sinistra a fare il loro mestiere?

Un primo e importante argomento a favore del maggioritario viene indicato nella stabilità dei governi che esso consentirebbe a differenza del proporzionale. Questo assunto, dato in genere per scontato, viene messo in relazione: (a) con la possibilità dei cittadini di scegliere direttamente il governo e il suo capo al momento del voto, conferendogli una forte legittimazione; (b) con la disponibilità da parte di chi governa di una maggioranza solida, che evita estenuanti mediazioni con le varie forze politiche e le crisi che ne discendono, e anche faticosi compromessi con le forze sociali e le diverse categorie (quella ‘disintermediazione’ apprezzata dal centro-destra, ma più di recente anche da parte del centro-sinistra) .

Che cosa si può obiettare a queste argomentazioni? (a) Che la quasi totalità delle democrazie europee ha un sistema proporzionale senza però avere punte di instabilità lontanamente paragonabili a quelle dell’Italia (le democrazie anglosassoni sono le uniche a avere sistemi elettorali maggioritari e una dinamica maggioritaria di alternanza di governo); (b) che la sperimentazione di formule variamente maggioritarie nel nostro paese, nell’ultimo trentennio, non ha portato a miglioramenti davvero rilevanti da questo punto di vista, anche se la durata media dei governi è un po’ aumentata.

Ciò induce dunque a pensare che ci sia da parte dei critici della proporzionale una sopravvalutazione del ruolo del sistema elettorale in generale e dei vantaggi di quello maggioritario in particolare. In realtà l’instabilità sembra da mettere più in relazione con alcune caratteristiche della cultura politica italiana, con radici lontane nel tempo che hanno a che fare con fattori come le profonde divisioni della sinistra, il conflitto tra Stato e Chiesa a partire dall’Unità, l’eredità dell’esperienza fascista. Ne discendono conseguenze rilevanti come elevata frammentazione partitica, forti divisioni e conflittualità, presenza ricorrente di orientamenti ‘anti-sistema’ nelle forze politiche. In questa situazione, la cura maggioritaria rischia addirittura di acuire le tensioni perché la sopravvivenza dei partiti è legata a accordi spesso troppo forzosi tra forze politiche distanti tra di loro che si sciolgono facilmente subito dopo le elezioni, o favoriscono il ricatto delle forze minori, come abbiamo visto nell’ultimo trentennio. La proporzionale può invece contribuire di più alla responsabilizzazione dei partiti, riducendo la conflittualità e favorendo la formazione di coalizioni relativamente più stabili (in Germania e nei paesi nordici la stabilità ha regnato con governi di coalizione).

Il ruolo dei partiti è comunque di grande importanza ed è illusorio pensare di condizionarne i caratteri solo con il sistema elettorale. Ci tornerò tra un momento. Chiediamoci prima che cosa succede dal punto di vista delle politiche. Ci sono differenze significative tra i due sistemi elettorali? Questa dimensione è stata in genere trascurata nel dibattito. Tuttavia viene notato da quanti sostengono il maggioritario che questo sistema avrebbe anche il vantaggio di favorire la produzione di beni pubblici (per la collettività), come infrastrutture e servizi, rispetto ai beni privati che includono spesso incentivi, sussidi, agevolazioni (tutte misure suscettibili di pratiche più o meno particolaristiche e clientelari). In generale, inoltre, i governi basati sul maggioritario gestirebbero meglio le finanze pubbliche. Il motivo sarebbe da ricondurre alla maggiore stabilità che induce a intraprendere politiche la cui resa richiede più tempo, una risorsa che è meno a disposizione di chi opera in regime di instabilità e tende quindi a preferire l’offerta di beni privati per acquisire consenso.

Che cosa si può obiettare a questo assunto? (a) Anzitutto i dati dimostrano che sistemi proporzionali, come quelli del Centro- Nord Europa, non si accompagnano affatto a minore efficienza nella gestione delle finanze pubbliche (si pensi alla Germania o ai paesi scandinavi); (b) diversi studi mostrano poi che i sistemi maggioritari responsabilizzano di più gli eletti rispetto ai loro elettori, ma sono in genere associati proprio a una minore capacità di produrre beni pubblici. Per quali motivi? Perché i sistemi maggioritari incoraggiano maggiormente la personalizzazione politica. Un esito che è poi in generale rinforzato dal ruolo cruciale che hanno assunto i media nella comunicazione politica. La scelta dei candidati conta dunque più di quella del partito tra gli elettori, e la leadership personale prevale sull’organizzazione collettiva del partito.

Ma la leadership personale, che è peraltro particolarmente forte nella nostra politica, ha tre conseguenze rilevanti: (a) accorcia l’orizzonte temporale dei leader, che si consumano più rapidamente se non soddisfano interessi a breve che possano sostenerli (e questo ostacola la produzione di beni collettivi ); (b) i leader preferiscono beni privati perché possono essere offerti a vantaggio di specifici gruppi di elettori con i quali scambiare consenso, mentre i beni collettivi non solo richiedono più tempo ( si pensi alle opere pubbliche), ma hanno tipicamente vantaggi diffusi; (c) si può infine aggiungere che il sistema maggioritario scoraggia meccanismi efficaci di redistribuzione che contrastino le accresciute disuguaglianze sociali in tempi di globalizzazione. Spinge infatti i partiti – e in particolare quelli di sinistra - a ricercare il consenso di fasce di elettori di ceto medio che sono ostili alla tassazione e a forme di regolazione del mercato necessarie per ridurre le disuguaglianze. Questo porta a una maggiore indistinzione programmatica (si pensi all’unanime coro contro la tassazione) e a una minore capacità di rappresentanza da parte della sinistra dei gruppi più deboli che sono più esposti alle sirene del populismo sovranista e xenofobo.

Non vanno dunque sopravvalutati il ruolo del sistema elettorale e le virtù del maggioritario. Anzi ne vanno messi in evidenza i difetti. Specie oggi, di fronte alle conseguenze sociali di una globalizzazione non regolata e di una pandemia drammatica che richiedono una maggiore capacità di rappresentanza degli interessi più deboli. Ciò che affligge di più la politica italiana è la fragilità dei partiti e la diffusione che non ha pari in altre democrazie avanzate dei partiti personali. Coloro che insistono sui vantaggi del maggioritario danno in genere per scontata l’irrecuperabilità dei partiti e si affidano alla leadership personale, ma così si rischia una cura che peggiora la salute della nostra democrazia.

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