La mattanza di donne è una piaga che difficilmente si guarisce con una legge e un compromesso tra maggioranza e opposizione – comunque importanti. Reprimere, più duramente, si deve. Ma non è sufficiente, se è vero che resta ancora difficile per una donna che subisce violenza farsi prendere sul serio da chi si occupa, per lavoro, della sicurezza o da chi deve giudicare il reato.

Il contesto della mattanza di donne è denso. E il lavoro che deve affiancare gli interventi di repressione e di dissuasione sarà di lungo periodo. Circola la proposta di una “educazione sentimentale” magari come materia scolastica, che si aggiungerebbe a quell’altra cenerentola che è l’“educazione civica”.

Educare al rispetto non è un obiettivo raggiungibile aggiungendo una materia scolastica. Il rispetto non è un oggetto trasferibile da insegnante ad alunni come una teoria o un decalogo. Il mondo delle relazioni interpersonali è la sua scuola; quel tessuto denso che si riforma vivendo. Pensare mentre si fa, direbbero i pragmatisti.

Seconda natura, “abito comportamentale”: il frutto maturo che si coglie alla fine di un lavoro non premeditato che comincia dalla nascita a partire dall’apprendimento della lingua e della postura morale, con la guida dei modelli di comportamento che gli adulti propongono. Fare per imitazione per poter fare per scelta. Avere modelli positivi da imitare è quindi l’obiettivo.

La seconda natura non è mai solo un fatto individuale anche se come gli abiti si adatta alla persona e si fa carattere. Senza i “mores” sosteneva Montesquieu, anche i buoni governi si trasformano in despotismi. Il patriarcalismo è una forma di despotismo: relazione tra padroni e servi; un serraglio.

Una società democratica, annotava Tocqueville, ha un tipo di famiglia e di relazioni tra i generi che non si adatta a società dispotiche. Oggi il patriarcalismo non designa un modo di essere della famiglia. Morta la famiglia patriarcale sotto i colpi delle carte dei diritti, delle lotte referendarie, delle buone leggi, il patriarcalismo resta come un residuo che toglie ossigeno alla determinazione individuale a scegliere il proprio percorso di vita con responsabilità e nel rispetto degli altri.

Non ci si sofferma mai abbastanza a riflettere sul fatto che i diritti sono mediazioni che regolano i nostri “scambi” di idee, impressioni, effusioni, sentimenti, opinioni. Nel regolare il nostro dare e ricevere segnano un confine, oltre il quale c’è sopruso degli altri e di noi stessi, perché violare gli altri è lacerare il tessuto delle relazioni nel quale viviamo, e fare male anche a noi stessi.

Se solo si riuscisse a spiegare ai giovani, con l’esempio e il discorso, che un diritto è l’altra faccia del dovere di rispetto verso sé stesse/i e quindi gli altri, perché dove esso finisce comincia lo stato di guerra e la violenza, verbale e fisica, forse si sarebbe già ottenuto un risultato importante. Ma non ci può essere un docente specifico che insegni l’educazione sentimentale.

La seconda natura la si apprende vivendo con gli altri, stando insieme agli altri nelle forme collettive e sociali, occasionali e cercate, non solo nelle relazioni amicali e amorose. Apprendere a parlare con senso compiuto delle proprie emozioni, dei propri desideri; apprendere a considerare la dimensione privata come una, benché importante, sfera di vita che ha bisogno dell’aria aperta per non diventare ossessione totalizzante. Il patriarcalismo è un mondo, di modelli di comportamento che sono ovunque. Si dovrebbe poter rovesciare tutto per ricostruire tutto. Non potendo, resta il paziente bricolage, senza smettere di denunciare e lottare.

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