L’esigenza che le norme siano scritte in modo chiaro e certo è tanto più sentita quando si tratta della salute delle persone. È il caso della disposizione sull’obbligo vaccinale di medici e operatori sanitari. Disposizione evidentemente non proprio cristallina, dato che solo ora, dopo circa tre mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge che ha introdotto l’obbligo (n. 44/2021), e a seguito di una nota di chiarimenti, è stato precisato come rendere operativa la principale conseguenza prevista per il mancato assolvimento dell’obbligo stesso: la sospensione dalla mansione dei sanitari renitenti.

La norma sulla vaccinazione dei sanitari

La complessità della norma (art. 4), che prevede una sequenza di fasi “burocratiche” e scadenze difficili da rispettare, era stata rilevata sin dall’inizio. Entro cinque giorni dall’entrata in vigore del decreto, ordini professionali e datori di lavoro avrebbero dovuto trasmettere i nominativi degli operatori sanitari alle regioni, le quali entro dieci giorni avrebbero dovuto verificare chi non si fosse vaccinato, per poi inviarne comunicazione alla azienda sanitaria locale (Asl). Quest’ultima avrebbe dovuto, poi, avviare un iter di interlocuzione con i diretti interessati, fino all’invito formale a vaccinarsi.

A seguito dell’accertamento da parte della Asl del mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale, quest’ultima ne avrebbe dovuto dare immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza.

Al di là della difficoltà dei numerosi passaggi, nonché di incrociare banche dati di soggetti diversi, la criticità della norma è nella parte ove si prevede che «l'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2». Tra i soggetti citati, qual è quello che deve materialmente sospendere l’operatore sanitario che non voglia vaccinarsi?

L’incertezza normativa, il conseguente rischio di azioni giudiziarie da parte degli operatori sospesi, nonché forse il timore che posizioni lavorative in ambito sanitario restassero scoperte in una fase ancora critica della pandemia, hanno determinato una impasse: l’atto finale del procedimento legislativamente previsto – l’allontanamento dei sanitari non vaccinati - non sempre è stato adottato.

I dubbi hanno indotto la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo) a chiedere spiegazioni al Ministero della Salute.

I chiarimenti del ministero della Salute

Il Ministero ha chiarito la questione. Il legislatore ha operato a monte una valutazione di inidoneità alla mansione per i sanitari non vaccinati, per cui la loro sospensione discende automaticamente dalla legge. Quindi, l’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, compiuto dalla Asl, vale come sospensione e, una volta comunicato all’interessato, al datore di lavoro e all’ordine professionale di appartenenza, impone l’attivazione di alcune conseguenze.

Da un lato, l’Ordine deve adottare tempestivamente una delibera «avente carattere di mera presa d’atto della sospensione del professionista interessato riportando l’annotazione relativa nell’Albo». Pertanto - commenta la Fnomceo - «l’Ordine si trova nei confronti dell’accertamento della ASL in una posizione di mero esecutore rispetto a provvedimento adottato da altro soggetto giuridico conseguentemente al quale deve necessariamente dar seguito».

Dall’altro lato, il datore di lavoro – come previsto dalla legge - deve adibire il lavoratore, «ove possibile, a mansioni, anche inferiori, (…) e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio»; ove non possibile, deve sospendergli la retribuzione «fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021»; ciò salvo che l’operatore sanitario non possa vaccinarsi per un «accertato pericolo per la salute», e allora non gli è sospesa la retribuzione.

Le conseguenze di una norma scritta male

Il chiarimento del Ministero circa la sospensione ex lege consente di superare non solo le incertezze applicative della norma, ma soprattutto lo “scarica-barile” delle responsabilità nell’adozione degli atti conseguenti alla mancata vaccinazione. In alcuni casi i datori di lavoro, per tutelarsi, avevano rimesso la questione ai medici del lavoro, affinché dichiarassero l’inidoneità alla mansione dei non vaccinati ricorrendo a norme in tema di sicurezza sul lavoro.

Si trattava di una forzatura: la valutazione di inidoneità è stata fatta a monte dal legislatore, come detto, quindi non serve quella del medico competente. In altri casi, si era richiamato un decreto del Presidente della Repubblica (n. 221/1950) che dispone casi tassativi di sospensione da parte degli Ordini Professionali: casi che non possono interpretarsi analogicamente e che, comunque, hanno una “ratio” diversa dalla sospensione per mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale, come chiarito dal Ministero.

Insomma, ora non ci sono più alibi: bisogna agire nei riguardi di medici e operatori sanitari che non si vogliono vaccinare. La disposizione cesserà di avere effetti al massimo tra sei mesi, il 31 dicembre, e sono già passati tre mesi da quando è entrata in vigore, lasciando non vaccinati liberi di continuare a esercitare la propria professione, a causa delle difficoltà esposte. Questo accade quando una norma è scritta male.

Detto ciò, sarà verificato e si potrà sapere in piena trasparenza se, quando e quanti no-vax saranno effettivamente allontanati dalla cura dei pazienti?

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