La profonda crisi della Tunisia mette l’Italia e l’Europa davanti a un dilemma quasi irrisolvibile. Da una parte si tratta di evitare la caduta dello stato tunisino che avrebbe conseguenze geopolitiche enormi: una nuova Libia, un altro paese a pezzi che si trasformerebbe in un buco nero che potrebbe finire in mano a trafficanti di carne umana ma – ancor peggio – di jihadisti o chissà quali reti criminali globali.

Dall’altra c’è l’ambiguità di essere costretti a trattare con regime autoritario che non sopporta nessun condizionamento, ha distrutto la fragile democrazia tunisina, provoca la fuga delle giovani generazioni, aizza il razzismo a casa propria e spinge contro Lampedusa gli africani subsahariani presenti nel paese.

Il Fondo monetario internazionale e gli Stati Uniti sono dell’opinione che un tale regime non vada sostenuto, perché tanto alla fine ci imbroglierà lo stesso, non rispetterà i patti, tanto meno quelli migratori. Il governo italiano e l’Unione europea pensano invece che la Tunisia vada aiutata subito per non peggiorare la situazione e per non dover assistere ad un’altra morte di uno stato in nord Africa.

Stranamente la Francia tace. Hanno ragione entrambi e Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte hanno avviato una difficile mediazione, cercando di ottenere qualcosa dal presidente tunisino Kais Saied.

Quest’ultimo resta inamovibile: dateci tutti i denari che vi chiediamo e basta. Ciò è ovviamente impossibile. L’intelligence avverte quanto la Tunisia sia già preda della criminalità globale che ha solide basi nella vicina Libia. La frontiera tra Tunisi e Tripoli non esiste quasi più. Accordarsi con Saied è un rischio; non farlo potrebbe essere peggio, considerando ciò che accade nel Sahel.

Non ci sono soluzioni facili al caos tunisino ma una cosa deve essere chiara: qualunque sia la scelta finale, sarà necessario continuare a impegnarsi con la massima attenzione. Comunque la si presenti comunicativamente, non avremo una soluzione definitiva a causa della debolezza geopolitica di tutti gli attori in campo. L’Algeria vicina sostiene il presidente Saied per solidarietà tra regimi militari. Il Marocco invece è di tutt’altra opinione. In Libia le numerose fazioni si posizioneranno in maniera variabile, a seconda degli interessi del momento. L’Egitto non avrà capacità di influire sul breve termine. Vedremo l’ascendente dei paesi arabi del Golfo e della Turchia. Tuttavia l’Europa dovrà tener conto della reazione dei tunisini: ancorché impoverita, la classe media del nostro vicino ha una forte maturità democratica.

Non a caso colloquialmente la Tunisia viene chiamata l’Africa latina. Un accordo che ceda alle attuali autorità sarà considerato l’ennesimo tradimento europeo nei confronti di paesi in transizione, aumentando la frattura sentimentale tra i popoli arabo-africani e l’occidente, le cui conseguenze si pagano eccome.

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