Qualche mese fa mi trovavo a tavola insieme con l’ex presidente del parlamento europeo Martin Schulz. Parlando della guerra in Ucraina ci confrontavamo sull’attuale situazione geopolitica mondiale e concordavamo sul fatto che oggi nel mondo molti stati, in numero sicuramente maggiore di quelli che di primo acchito potremmo pensare, hanno paura della libertà che c’è nell’Unione europea.

Il nostro continente fa paura perché qui, anche se non viviamo in un sistema perfetto, le libertà sono affermate e diffuse, e proprio per questo sono sotto attacco da parte di quelle forze che chiamiamo sovraniste, ma che un tempo avremmo chiamato fasciste.

Emblematica in questo senso è stata l’immagine della donna georgiana che, sorretta da altre persone, sventolava la bandiera europea davanti alla polizia che con gli idranti la stava travolgendo. Noi cittadini europei spesso diamo prova di non renderci conto dell’alto grado di libertà in cui viviamo, soprattutto se ci confrontiamo con altre regioni del mondo.

L’affermazione della democrazia

Le libertà, i diritti e soprattutto un’articolata e diffusa mentalità di pace, si strutturano nel dopoguerra, come esito della fine del secondo conflitto mondiale; buona parte degli uomini politici forgiati da quella drammatica esperienza, compresero che i totalitarismi sono la negazione della civiltà umana, perché contrari ai più basilari diritti civili e umani dell’uomo. Uno sbandamento che gli uomini non possono più permettersi.

Negli anni successivi alla fine della guerra la democrazia si è affermata in Europa; lentamente e dolorosamente si è superato anche il vergognoso fenomeno del colonialismo, si è compreso che nella società contemporanea l’uomo non può vivere al di fuori dei confini dettati dalle democrazie avanzate perché escludendo tale fondamentale principio c’è il rischio di trovare gli stessi disvalori conosciuti durante la seconda guerra mondiale.

Uniti per la pace

A cavallo tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta, grazie alla lezione dei padri costituenti europei, gli italiani Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, i due francesi Jean Monnet e Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer, assieme al lussemburghese Józef Beck e al belga Paul-Henri Spaak, si costruiscono le prime istituzioni sovranazionali che possono permettere agli stati di vivere federati e in pace. La pace è elemento primario, una sorta di brodo di coltura, dove si può generare e sviluppare una società basata sui diritti diffusi.

A ben guardare hanno avuto dei predecessori illustri. Nell’Europa di metà Ottocento gli ideali di pace e federalismo sono argomenti discussi in buona parte degli stati del vecchio continente.

Nel 1867 Giuseppe Garibaldi ha fondato a Ginevra, assumendone la presidenza onoraria, la Lega per la pace e per la libertà. Assieme a lui in quest’impresa c’erano importanti esponenti della cultura e della politica democratica europea, tra cui Victor Hugo, Fëdor Dostoevskij e John Stuart Mill.

Stati Uniti d’Europa

L’organo ufficiale della Lega aveva il nome di “Stati Uniti d’Europa” ed enunciava i seguenti princìpi essenziali:

  1. autonomia della persona umana;
  2. suffragio universale;
  3. federazione repubblicana dei popoli d’Europa;
  4. libertà di pensiero, di parola, di stampa, di riunione;
  5. libertà del lavoro individuale e/o collettivo, senza sfruttamento;
  6. libertà dei contratti, di coalizione e di associazione;
  7. istruzione di primo grado, laica, gratuita, obbligatoria;
  8. parità di diritti per i due sessi;
  9. accesso alla proprietà individuale e collettiva con il lavoro, facilitato a tutti e a tutte;
  10. separazione della chiesa dallo stato;
  11. sostituzione delle armate permanenti con le milizie nazionali;
  12. abolizione della pena di morte;
  13. arbitrato internazionale – trattati permanenti di arbitrato – creazione di un codice e di un tribunale internazionale.

La volontà era quella di creare, superando del differenze etniche, linguistiche, religiose e culturali, gli Stati Uniti d’Europa, realizzando istituzioni democratiche sovranazionali e offrendo un esempio di civiltà e di progresso a tutto il mondo. Concetti talmente avanzati che ancora oggi sono in fase di piena affermazione, ma che ci manifestano quanto il cammino europeo sia imperniato su quei valori.

Il manifesto di Ventotene

Questo orientamento naufragherà a causa dei diffusi nazionalismi che imperverseranno in Europa a cavallo tra Ottocento e Novecento e che daranno poi vita alle due guerre mondiali. Il pensiero federalista e pacifista diventa minoritario ma non scompare, anzi si trasforma in un filo rosso (una miccia) pronto a ricomparire quando i nazionalismi manifesteranno tutta la loro ferocia. Verrà tenuto in vita dagli antifascisti che nei vari paesi d’Europa, più o meno clandestinamente, continueranno ad alimentare questo ideale politico.

Il momento in cui si ravviva il pensiero federalista europeo è il 1941 quando nell’isola di Ventotene, una delle sedi dei confinati italiani dal fascismo, tre importanti pensatori politici italiani scrivono quello che è passato alla storia come il Manifesto di Ventotene.

A redarre il testo, che è il fondamento intellettuale dell’attuale Europa, sono Altiero Spinelli, prima militante comunista e poi aderente a Giustizia e libertà, Ernesto Rossi, militante del partito d’Azione e successivamente in quello radicale, Eugenio Colorni, giovane socialista assassinato a Roma nel maggio del 1944 mentre si recava alla sede della tipografia dell’Avanti.

Un’unica Europa

La visione di un’Europa sovranazionale portata avanti in questo fondamentale documento rompe due precedenti dogmi che hanno sorretto il mondo: il principio della sovranità illimitata e dello stato-nazione.

Secondo Norberto Bobbio, «il superamento della sovranità assoluta conduce allo stato federale, il superamento del principio nazionale conduce all’idea d’Europa». Un concetto condiviso anche da Luigi Einaudi che durante i lavori della Costituente si espresse in tal modo: o si sostiene «l’idea della dominazione colla forza bruta» o «l’idea eterna della volontaria collaborazione per il bene comune».

Fu la resistenza al nazifascismo che trasformò il mero ideale d’Europa in una necessità e quindi in un programma politico concreto. Resistenza e federalismo durante la guerra hanno dato vita a un percorso comune grazie a un notevole numero di convergenze culturali e politiche, ma soprattutto al fatto che esse nascono da un processo rivoluzionario di base.

Anche se non tutta la resistenza fu federalista, molti suoi gruppi lo furono, specialmente i movimenti più intellettuali, come il partito d’Azione che lo ebbe tra i suoi punti programmatici. Ma ancor di più entrando nel corpo della Resistenza, è difficile trovare un documento politico di qualsiasi gruppo resistenziale che non menzioni almeno uno di questi princìpi: pace tra le nazioni, libertà personale, giustizia sociale.

Quello che siamo

Sono state le migliori avanguardie dei popoli d’Europa che hanno fatto la Resistenza, esse comprendendo che non si poteva riportare gli stati alla condizione politico-istituzionale precedente alla guerra, ma si doveva produrre attraverso l’innovazione una nuova forma di stato.

Sempre Bobbio sostiene che la Resistenza «non deve limitasi a vincere il presente ma deve inventare il futuro», questo avvenire sarebbe stata l’Europa unita.

Tale entità sovranazionale è un’arca che contiene tesori inestimabili in molte parti del mondo, diritti e libertà in primis, senza dimenticare benessere economico e sociale. Per questi motivi, tantissimi immigrati decidono di affrontare pericolosi viaggi per arrivare in Italia e nel nostro continente.

L’Europa è quindi un modello positivo, che di riflesso mette in cattiva luce le autocrazie, i sovranismi e i nazionalismi, che oggi tentano di indebolirla (si veda a tal proposito anche lo scandalo delle corruzioni del Parlamento europeo).

Gli italiani e gli europei non dovrebbero dare quindi per scontato quello che per miliardi di persone non è, poiché il pericolo di derive autoritarie è sempre fecondo, come tantissimi testimoni dell’epoca ci hanno trasmesso. L’Europa unita, conquista delle Resistenze europee, non va intesa come un punto di arrivo, ma al contrario come un punto di partenza verso un consolidamento globale dei diritti.

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