Il 7 giugno entrerà in vigore la nuova legge fondamentale dello stato della Città del Vaticano, la terza in una storia che non ha nemmeno un secolo di vita. La data non è stata scelta a caso: il 7 giugno 1929, infatti, con lo scambio delle ratifiche dei Patti lateranensi (quella italiana, con legge del 27 maggio, e quella del pontefice approvata il 30 successivo) nasceva, o meglio rinasceva, il minuscolo stato del papa. Un’entità che per le sue caratteristiche uniche – il pontefice riunisce in sé tutti i poteri – fu subito definita «necessariamente, irriducibilmente, ineluttabilmente anormale» dal grande giurista Francesco Ruffini.

A firmare nel palazzo del Laterano la Conciliazione tra l’Italia e la Santa sede erano stati l’11 febbraio 1929 il capo del governo Mussolini e il cardinale segretario di stato Gasparri. A comunicare il perfezionamento degli accordi a re Vittorio Emanuele III fu invece – la mattina del 7 giugno – lo stesso Pio XI: «Il primo telegramma che mandiamo da questa Città del Vaticano è per dire a Vostra Maestà che lo scambio delle ratifiche delle Convenzioni Laterane è, grazie a Dio, da pochi istanti un fatto compiuto».

Costituiti da un trattato, da un concordato e da una convenzione finanziaria, i patti (inclusi nella costituzione italiana e poi rivisti) avevano chiuso la «questione romana», non risolta dalla presa di Roma che nel 1870 aveva posto fine al millenario stato pontificio, nato nel medioevo. Sia pure in proporzioni minime, trascorso un sessantennio dalla breccia di Porta Pia, l’entità statale rinasceva e il pontefice ne promulgava la legge fondamentale.

Il testo è «sostanzialmente di rango costituzionale» ha osservato Francesco Clementi (Città del Vaticano, il Mulino), e a stenderlo era stato in soli cento giorni uno dei maggiori giuristi italiani, Federico Cammeo. Il destino dello studioso ebreo – tra l’altro, in gioventù affiliato alla massoneria – e di parte della sua famiglia fu tragico: estromesso dall’università di Firenze per le leggi razziali, morì poche settimane dopo, mentre la moglie, una figlia e la cognata vennero uccise ad Auschwitz.

Nel quinto anniversario dei patti lateranensi, l’11 febbraio 1934, Domenico Tardini, uno dei più intelligenti e caustici esponenti della curia poi divenuto segretario di stato, nel suo diario con parole lucide e crude rifletteva sulla nuova contraddittoria realtà che si era venuta creando: «Fu un bene la sovranità del pontefice. Ma fu un bene l’organizzazione data a questo stato, così minuscolo e così presuntuoso, così povero e così sciupone, così lillipuziano e così saturo di impiegati e onusto di stipendi? Giova alla Santa sede – istituto sopranazionale, spirituale, immenso – questo spettacolo di arrivismo, di idiotismo, di parassitismo dato da coloro che si annidano nel tessuto della Città Vaticana?».

Tre leggi

In meno di un secolo si sono succedute tre leggi fondamentali: la prima è stata modificata nel 2000 con quella vigente, e questa sarà sostituita dalla terza il prossimo 7 giugno. Nei primi due testi «l’intreccio fra l’ordinamento canonico, cioè quello della Santa sede», e l’ordinamento statale è «fortissimo», ma l’osservazione del giurista Clementi si può estendere anche al nuovo. Con riferimento poi all’«antica concezione medievale e feudale del Patrimonialstaat di tipo germanico», già secondo Cammeo si può considerare il Vaticano come «uno stato patrimoniale» in quanto proprietà della Santa sede, e dunque del papa, che è unico sovrano.

Sia pure elettiva, la monarchia papale è assoluta e, a quasi tre secoli dal De l’esprit des lois di Montesquieu, continua a non prevedere alcuna separazione dei poteri: «Il sommo pontefice, sovrano dello stato della Città del Vaticano, ha la pienezza della potestà di governo, che comprende il potere legislativo, esecutivo e giudiziario» recita il primo articolo della nuova legge fondamentale. La precedente formulazione – che sottolineava la «pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario» – viene dunque solo minimamente sfumata.

Il nuovo testo è più lungo dei due precedenti. Il linguaggio appare però meno chiaro quando l’articolo 5, completamente nuovo, afferma che «fanno parte della comunità dello stato i cittadini, i residenti e quanti, ad altro titolo e con diverse funzioni e responsabilità, svolgono stabilmente il loro servizio, con spirito ecclesiale, per lo stato o per la Santa sede». Sui media si è sottolineata l’apertura della commissione cardinalizia che esercita la funzione legislativa ad «altri membri», cioè anche a laici, ma già dal 1929 al 1952 il governatore – carica poi non ricoperta e soppressa nel 1969 – fu proprio un laico, Camillo Serafini.

Il potere giudiziario

Ridimensionato risulta invece per alcuni aspetti il ruolo della Segreteria di stato, secondo la tendenza degli ultimi anni, a vantaggio ovviamente del Governatorato. Ma ancora più evidente appare il controllo diretto del pontefice, che nella premessa rivendica – con un’affermazione inusuale – l’esercizio dei suoi poteri sovrani anche sul minuscolo stato proprio «in forza del munus petrino», cioè del servizio esercitato in quanto successore dell’apostolo Pietro.

Viene in questo modo di fatto confermata la tesi, espressa già nel 1936, di Pietro Agostino D’Avack – il giurista cattolico che fu rettore dell’università di Roma – del Vaticano come esempio di stato teocratico o ierocratico, il «tipo più arretrato e anacronistico che storicamente si conosca». Una concezione «sostanzialmente estranea alla dottrina cattolica» ha osservato Nicola Picardi sulla scorta di quanto formulava nel 1960 un conservatore come il cardinale Alfredo Ottaviani: ecclesiae non competit potestas directa in res temporales, e cioè che alla chiesa non compete la potestà diretta negli affari temporali.

L’ultima parte della legge riguarda il potere giudiziario, materia su cui papa Francesco è molto intervenuto ma che resta delicatissima, soprattutto per l’assenza della separazione dei poteri. Lo confermano ripetute critiche dei media, soprattutto statunitensi, al cosiddetto processo Becciu. Ma in senso acutamente più radicale si spingono le riflessioni del prelato canonista Giuseppe Sciacca raccolte nel volume Nodi di una giustizia (il Mulino). L’ambito infatti è quello più generale del diritto nella chiesa, che resta necessario, come sottolinea nella prefazione un teologo di rango: «Il contrasto con la chiesa della legge – scrive il cardinale Kasper – non è quindi la chiesa dell’amore, ma la chiesa dell’ingiustizia».

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