Il genitore è come un governo. So che questa frase fa un po’ spavento, suona anticamente intrisa di paternalismo. Di questi tempi, insomma, chissà. Ma tant’è, leggevo dei libri di filosofia politica e mi son trovata a pensare ai genitori e ai loro comportamenti, al loro stile nella gestione del potere che certamente hanno, alle loro mancanze e alle difficoltà che creano e che incontrano.

Come non esiste un solo tipo di governo, non esiste un solo tipo di genitore. In queste righe ne descriverò tre. Non so se il risultato sarà una riflessione politica oppure una riflessione pedagogica. O nessuna delle due cose. O entrambe.

Il primo tipo è il genitore dell’obbligo: il genitore del “no perché no”, il genitore punitivo. La sua arte governativa è costruita intorno all’autorità e alla fermezza. Questo genitore certamente esisteva, un tempo. Lo troviamo nei libri di letteratura e nei racconti famigliari sui nostri antenati (“Ah, se ci fosse qui la bisnonna, un bel castigo!”).

Sembra meno presente fra le persone che hanno figli oggi: queste sono spesso descritte come budini asserviti ai desideri della prole. Dei veri e propri incapaci. Il genitore dell’obbligo però esiste ancora, almeno come concetto e talvolta come ispirazione. Viene evocato abbastanza spesso: «Bisogna imparare a dire di no, oggi non si dice più di no, bisogna sgridare quando serve, bisogna…»

Così affermano certi padri e madri di ragazzi ormai grandi (che spesso hanno rimosso cosa vuol dire avere bambini piccoli), o certi amici senza figli. Così dicono alcuni parenti. E i genitori ci provano, tentano cioè di inventare una forma contemporanea e aggiornata di genitore dell’obbligo.

Mettono i piccoli nel loro lettino e li lasciano piangere di notte, restando nascosti dietro la porta della stanza, in ansia, ma così i piccoli si abituano, bisogna attraversare questa fase, altrimenti non impareranno mai.

Poi però i genitori cercano su Google e leggono che queste tecniche pedagogiche rigide portano a sviluppare la personalità del serial killer, allora prendono il figlio piangente e lo mettono nel lettone per consolarlo, sperando che questo basti a limitare i danni.

Il genitore reale

C’è sempre uno iato fra il genitore teorico e il genitore reale che a quel genitore teorico vorrebbe ispirarsi.

Del resto accade così anche con i governi. Il genitore reale è una figura pasticciona, fa quel che può, quel che capisce, e a volte è troppo stanco e non capisce più niente.

Il secondo tipo è il genitore dell’incentivo, anche detto genitore tecnico. È preparato, ha studiato, ci ha pensato, ha architettato. Sa cosa è meglio per la propria figlia, e con questo intende ciò che è più intelligente, più adatto ai tempi.

Non dice alla figlia che si deve comportare in un certo modo perché così stabilisce l’autorità, non ha in testa neppure un sistema di valori indiscutibile. Ha in testa la fiducia nei fatti e nelle analisi.

Bisogna leggere le favole ai bambini non perché farlo è un gesto di sicura bellezza, ma perché i bambini devono stare lontano dagli schermi, interagire, così il loro cervello si sviluppa, lo dice la scienza.

Bisogna invitare gli amichetti a giocare non perché i bambini desiderano in fondo mostrare il loro nido agli amici e scorrazzare e finalmente distruggere i soprammobili, ma perché è importante costruire sin da subito una buona rete di amicizie, e coltivare i rapporti interpersonali, lo dice la psicologia. Il genitore tecnico non punisce, ma crea un sistema di incentivi e sanzioni.

Se fai questo otterrai questo, se non fai questo ti sarà tolto questo. Ma senza cattiveria, senza eccedere nelle emozioni. In modo giocoso, una sorta di simpatica competizione del bambino con sé stesso. Il genitore tecnico mette allegria e fiducia nel futuro, sembra molto adatto al capitalismo.

Fino a quando un giorno sua figlia entra in crisi, molla l’università e fonda un movimento populista che chiede il ritorno ai valori tradizionali.

Il terzo genitore è il genitore della persuasione. Figura mitologica, metà umano e metà questione morale, il genitore della persuasione è animato dalla saggezza pratica e dall’istinto per il bene.

Non si lascia guidare dai meri fatti e dalla tecnica, ma neanche dal dispotismo. Si chiede ogni volta quali siano le domande alle quali sta cercando di rispondere nel suo percorso pedagogico.

Realizza il perfetto equilibrio fra potere, etica, autorità e fiducia. Dà il buon esempio. Sa amare. Probabilmente non esiste, ma se esistesse risolverebbe la crisi delle democrazie.

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