A Muschio Selvaggio, il podcast di Fedez e Luis Sal, l’ospite è Gianluigi Nuzzi. Il discorso cade su Emanuela Orlandi e la recente serie Netflix Vatican Girl. Fedez dice scherzando: «Comunque, non l’hanno mai trovata».

Poi, con la complicità del suo leporello, ride fino alle lacrime. Nuzzi fiuta la merda appena pestata e resta serissimo.

Prevedibile come un riflesso pavloviano, scatta la polemica social: Fedez deve vergognarsi, non si scherza su una ragazza di quindici anni scomparsa e forse morta, pensa come si sarà sentito il fratello Pietro, e così via.

Non m’interessa giudicare il gesto in sé: una battuta infelice scappa a tutti, e Fedez ha già telefonato a Pietro Orlandi per scusarsi.

La questione interessante è un’altra, non personale ma di metodo. Muschio Selvaggio è infatti un programma registrato: la battutaccia poteva quindi venire tagliata in montaggio. Si è scelto invece di tenerla. Perché?

La risposta alla domanda è in un’altra domanda: che cosa vende Fedez? Sé stesso e, nello specifico, un se stesso che si presume vero, sincero, autentico.

Già dall’inizio della storia con Chiara Ferragni, Fedez si è dimostrato il paradigma di un nuovo tipo di esposizione mediatica, accettando - forse primo fra tutti in Italia - un grado di esposizione senza precedenti, che negli anni è poi addirittura aumentato.

Questa continua ostensione di sé ha un solo imprescindibile presupposto: la sincerità.

Fedez non ha il dovere di essere un esempio per nessuno: il suo unico dovere è quello di essere (o perlomeno di sembrare) vero. Ma, per essere (o sembrare) vero, deve avere ogni tanto (come tutti noi) delle cadute di stile.

Fedez è il paradigma di una nuova, ultracontemporanea idea di verità: una verità che può essere, a volte, inopportuna, ma in nessun modo dev’essere censurata. La trasparenza diventa un comandamento primario.

Per un curioso paradosso tutto contemporaneo, Fedez può permettersi delle gaffe molto più di quanto possa permettersi il montaggio che gliele elimini: meglio sbagliare (e poi compiere un pubblico atto di contrizione) che essere finti.

Il caso ci dice molto su cos’è davvero un influencer: un commerciante che opera in valuta di sincerità. La verità del sé come core business, il petrolio del secolo.

Ci dice poi che l’idolatria della trasparenza ha i suoi piccoli sacrifici umani: periodici tributi di imperfezione da pagare al proprio pubblico per venire considerati esseri umani credibili.

Accettare consapevolmente, di tanto in tanto, di farsi linciare per qualche ora: offrire al pubblico una piccola meschinità che sta lì, come una lucina rossa fuori dalla stanza, a segnalare che - come Philip Roth sognava di scrivere sulla Casa Bianca negli anni di Clinton: qui abita un essere umano.

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