Le misure approvate dal governo Meloni contro i rincari della benzina non possono funzionare, ma c’è almeno un aspetto positivo: ricordano a tutti che il mercato – cioè trasparenza e concorrenza – può essere uno strumento di politica economica e non c’è soltanto la leva fiscale.

Si possono aiutare le famiglie anche con interventi che riducano le rendite e dunque i prezzi, invece che con il solito farraginoso meccanismo di nuovi balzelli fiscali per finanziare qualche bonus clientelare. Fine delle buone notizie.

Solo trasparenza

Vediamo perché le misure annunciate dal Consiglio dei ministri martedì sera sono soltanto propaganda che rivela idee confuse. Primo: non c’è alcun tetto al prezzo della benzina in autostrada, misura che esiste soltanto nei titoli di qualche giornale ma non menzionata nel comunicato stampa ufficiale.

Le altre misure riguardano soprattutto la trasparenza dei prezzi: ogni giorno i benzinai dovranno comunicare il prezzo di vendita pratico al ministero delle Imprese che poi calcolerà il prezzo medio giornaliero nazionale. Questo prezzo medio deve «essere esposto, con specifica evidenza, da parte degli esercenti insieme al prezzo da essi praticato».

Qual è l’obiettivo? Nelle intenzioni del governo, dovrebbero così emergere gli “speculatori”: se il cliente vede che il benzinaio A vende la benzina a 1,82 euro al litro e il prezzo medio è 1,75, allora penserà di avere a che fare con un approfittatore e andrà oltre, dal concorrente che è in linea con la media. Può funzionare? Difficile.

Dal punto di vista del benzinaio, questa norma è individualmente un incentivo a  tenere i prezzi il più bassi possibile: qualche centesimo di sconto può far sembrare vantaggioso fermarsi invece di proseguire, una specie di pubblicità comparativa imposta per leggere. Ma dal punto di vista collettivo, il settore dei benzinai ha interesse a colludere per applicare prezzi uniformati al rialzo, così tutti saranno vicini a una media che garantisce i profitti massimi.

In un settore molto aperto alla concorrenza, l’approccio del governo potrebbe funzionare. Ma poiché la premessa dell’intervento è la capacità del settore carburanti di controllare l’andamento dei prezzi, con una precisione tale da lucrare sulle oscillazioni del prezzo della materia prima e del prodotto raffinato e sulle variazioni del prezzo finale dovute alla presenza o assenza di alcune tasse, la misura del governo rischia di essere inutile. O controproducente.

La trasparenza, poi, non ha mai contribuito molto a generare concorrenza e ridurre i prezzi nei contesti in cui ci sono forti rendite di mercato: da anni ci sono pannelli in autostrada che comparano i prezzi della benzina nei diversi autogrill, ma alla fine la scelta di rifornimento finisce per essere dettata molto più dalla distanza che dalla differenza di pochi centesimi.

Confondere il mercato

C’è poi un punto filosofico di fondo: chi crede nel mercato, come sembra fare il governo con queste misure, dovrebbe lasciare al mercato la sanzione dei comportamenti scorretti. I consumatori premiano già spontaneamente chi offre condizioni migliori ed evitano chi offre prodotti di qualità inferiore o a prezzo maggiore.

Se il consumatore è confuso, e non riesce a distinguere da solo tra i benzinai più economici e quelli più costosi (a parità di prodotto, perché una benzina vale l’altra), la colpa è soltanto della combinazione tra rincari della materia prima e temporanei provvedimenti di legge (lo sconto da 9,1 miliardi sulle accise).

In questo senso, il Consiglio dei ministri peggiora la situazione, perché cerca di nascondere agli automobilisti che l’ultimo rincaro è dovuto alla fine dello sconto fiscale che ha ripristinato la tassa da 18 centesimi al litro, nel tentativo di scaricare il costo politico su avidi speculatori senza volto.

Le auto-smentite di Meloni

L’altro effetto della scelta del governo di limitarsi a provvedimenti cosmetici, invece di prorogare il taglio delle accise, è chiarire che anche di fronte all’inflazione bisogna fare delle scelte.

Ha ragione la premier Giorgia Meloni quando dice che il taglio delle accise è iniquo, perché premia automobilisti ricchi e poveri allo stesso modo, anzi, il beneficio è maggiore per chi consuma di più. E di fronte alla tassa occulta del caro-prezzi, è più equo assistere chi ha più bisogno, invece che chi soffre meno.

Però Meloni ha torto quando dice di non aver mai promesso in campagna elettorale il taglio delle accise. Il programma di Fratelli d’Italia, a pagina 26, annuncia la “sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise”, che significa che quando il prezzo della benzina sale l’accisa si riduce (cambiando così di fatto natura, da accisa a tassa in percentuale). Non si può fare, non è equo, non è utile, ma Meloni dall’opposizione si guardava bene dal chiarirlo.

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