L’ipotesi che Silvio Berlusconi possa essere solo candidato alla presidenza della Repubblica mostra il sistema politico italiano sempre più prigioniero nel dedalo del suo impazzimento. È un fatto. Non dipende dal giudizio sul curriculum o sulle qualità morali del soggetto. Il punto è un altro: l’ipotesi che venga eletto alla più alta carica dello stato un pregiudicato e/o un imputato (Berlusconi è entrambe le cose) è letteralmente indicibile. Infatti è un caso non previsto dall’ordinamento.

L’idea di Berlusconi al Quirinale l’ha lanciata Matteo Salvini domenica scorsa. Nessuno ha fiatato. E si capisce. La politica italiana è talmente intrigata dai suoi arabeschi che i suoi professionisti amano ostentare la capacità di parlare d’altro. La ragion politica è chiara. Salvini promette di votarlo per il Quirinale per tenerlo legato alla sua ipotesi strategica (voto subito e centrodestra compatto al potere) e distoglierlo dalla tentazione di soccorrere M5s e Pd in una eventuale “maggioranza Ursula”.

Simmetricamente, nessun esponente di M5s e Pd obietta alcunché perché lo sgarbo precluderebbe ogni possibilità di collaborazione. La gestione della crisi di governo richiede invece che ogni strada, anche la più audace, resti aperta. Così, per compiacere un anziano leader, si lascia circolare un’ipotesi fuori della realtà. L’articolo 84 della Costituzione dice che «può essere eletto presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici».

Nessun limite, dunque. Berlusconi due anni fa ha riavuto i diritti civili e politici che gli erano stati tolti con la condanna del 2013 per frode fiscale. Ed essere un pregiudicato non è automaticamente un disonore. Lo era Umberto Terracini, il leader comunista che si è fatto 17 anni nelle carceri del regime fascista prima di diventare presidente dell’Assemblea costituente.

Lo era Václav Havel, eletto presidente della Cecoslovacchia dopo cinque anni nelle carceri del regime comunista. Lo era Nelson Mandela, che è stato a lungo in carcere prima di essere eletto presidente del Sudafrica. Ma un pregiudicato per frode fiscale che diventa capo dello stato non ha precedenti.

Certo, Berlusconi potrebbe paragonarsi a Terracini e sostenere, come da tempo tentano i suoi corifei, di essere stato colpito per motivi politici da un regime illiberale. Ma è difficile che ottenga questo riconoscimento dallo stesso regime che l’ha confinato a Cesano Boscone. Ci vorrebbe una rivoluzione, come in Cecoslovacchia e in Sudafrica, che magari inserisse in Costituzione il diritto di evadere il fisco.

C’è poi un aspetto, per così dire, tecnico che sconsiglierebbe di lasciar circolare amenità utili solo a confondere le idee dei cittadini. La Costituzione non prevede il presidente imputato. Non siamo pronti. L’inquilino del Quirinale può essere processato solo «per alto tradimento o per attentato alla Costituzione» (articolo 90 della Costituzione), mentre sulla procedibilità dei reati comuni i giuristi sono divisi. Ma i padri costituenti hanno tacitamente (e forse ingenuamente) escluso l’elezione di uno già imputato, quale è Berlusconi in più di un processo.

I processi sono in corso nei tribunali ordinari. Se Berlusconi diventa presidente, il processo continua come se niente fosse? O si interrompe per sette anni? O deve essere trasferito alla Corte costituzionale? I costituzionalisti sul punto sono confusi dal 1993, quando ci fu il tentativo si incastrare con accuse l’allora presidente Oscar Luigi Scalfaro. La sola ipotesi di Berlusconi al Quirinale ci trasporta dunque in una dimensione onirica. E infatti le cronache riferiscono che il fondatore di Mediaset «ha questo sogno», e tutto il sistema politico, nessuno escluso, glielo lascia benevolmente coltivare. 

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