È vero che il Piano nazionale di ripresa e resilienza, quadro di sintesi di indirizzi e proposte per il rinnovamento del paese, non può entrare minuziosamente nel merito delle singole questioni, perché il suo valore non dipende tanto dalle soluzioni prospettate, quanto dal nuovo modello di società che propone e dai modi individuati per realizzarlo. È vero anche che con il Pnrr, che complessivamente apprezziamo, si vuole trasformare un disegno ad alta componente ideale in un processo di decisioni capaci di modificare individui e società. Tuttavia, guardando ai modi individuati per realizzare gli ambiziosi obiettivi, il documento non appare sempre coerente con i principî enunciati, in particolare riguardo al rapporto fra caratteri ambientali naturali e sicurezza abitativa e più precisamente riguardo a un carattere ambientale stabile, quale è la sismicità. In tale senso riteniamo che la filosofia che emerge dal Pnrr per la difesa dai terremoti lasci ampi spazi a domande e a una riflessione critica. Il tema è decisivo per la sicurezza e la qualità della vita di intere popolazioni esposte a forti terremoti ricorrenti, che scuotendo un’edilizia molto vulnerabile diventano gravi disastri sismici. I punti del documento che a questo riguardo suscitano più perplessità ci sembrano sostanzialmente due.

Prevenzione

Il primo è che la parola “prevenzione” non sembra fare parte della terminologia che riguarda la riduzione del rischio sismico. A nostro parere la prevenzione, intesa come insieme complesso di attività che nasce da una cultura di attenzione alla vita e si accompagna ai principî della cura e della manutenzione, è un presupposto indispensabile per dare vigore alle condizioni di uguaglianza tra i cittadini, per proteggere l’eredità storica e per creare proposte economiche innovative. Ci si attendeva quindi che l’apprezzabile impegno per una ripresa dell’economia all’insegna della transizione ecologica, della crescita intelligente, della coesione sociale, si accompagnasse a un’idea forte di “prevenzione sismica”, proprio come presupposto imprescindibile per intervenire con successo e continuità sulla via della modernizzazione, soprattutto nelle aree del Mezzogiorno e dell’asse appenninico, da sempre esposte agli effetti distruttivi dei terremoti. Invece, nella parte del documento dedicata alla transizione ecologica, il problema della riduzione del rischio sismico compare solo en passant, quasi per inciso e senza una logica. Rileviamo poi che il tema del rischio sismico nel Pnrr è sempre associato in ordine secondario e ancillare sia all’efficientamento energetico, sia al dissesto idrogeologico, a cui è dedicato un intero paragrafo. Per chi conosce il problema sismico italiano è inaccettabile che tra i due tipi di rischio si stabiliscano delle priorità. La riduzione del rischio causato da frane e alluvioni è certo una questione fondamentale e trasversale per la sicurezza e la cura dell’ambiente, anche per un’aumentata fragilità dei territori abitati. Tuttavia l’impatto dei forti terremoti non può essere messo in sordina o in subordine, non solo per gli effetti ambientali interconnessi (fra cui le grandi frane sismo-indotte, più di 540), ma soprattutto per l’alta frequenza del fenomeno sismico, l’estensione dei territori colpiti, la perdita di vite umane e di beni materiali e immateriali. Questo è ancora un grande, cruciale nodo irrisolto della vita economica e sociale del paese, e tale resterà se non si assume un obiettivo nuovo e specifico.

Storia sismica

Temiamo che su questo tema si ignori un risultato scientifico imponente, ossia la sostanziale prevedibilità degli effetti sismici. Oggi si conoscono bene le aree a maggiore pericolosità e rischio sismico e si conoscono i modi per intervenire a tutela dell’edificato pubblico e privato.

Perché il Pnrr disconosce la dimensione del problema? Basti pensare che dall’Unità d’Italia (1861) a oggi, come si rileva dal Catalogo dei forti terremoti, i terremoti hanno causato oltre 150mila morti, 36 disastri sismici, in media uno ogni quattro anni (oltre a 170 terremoti minori, ma pur sempre con danni); sono stati seriamente danneggiati o totalmente distrutti più di 1.560 centri storici, da nord a sud, fra cui 14 città. Per gli otto grandi terremoti degli ultimi 50 anni – dal Belice 1968 al centro Italia 2016 – la cifra, in parte già spesa, in parte da spendere, è di 125 miliardi. Le distruzioni coinvolgono anche decine di migliaia di opere d’arte, di cui gli edifici sono i vulnerabili contenitori: soltanto con il terremoto del 2016, sono oltre 30mila le opere d’arte perse alla fruizione attuale, messe in salvo e chissà quando poi restaurate e riposte in loco. I forti terremoti erodono da sempre i nostri beni culturali, che un’economia turistica quanto meno smemorata dice di volere valorizzare. Eppure, la finestra temporale di poco più di un secolo non è che un piccolo tassello nella nostra millenaria storia sismica, scandita in dinamiche geologiche che variano nei milioni di anni.

Nonostante queste acclarate conoscenze, il messaggio che il Pnrr veicola è che i terremoti sono, per dirla con il Don Ferrante di manzoniana memoria, «accidente» e non sostanza, ossia che i terremoti sono eventi avversi casuali e quindi equiparabili a fatti di cronaca. Al contrario, i terremoti sono una componente strutturale del paese, e ne hanno modellato la geografia, la storia, la cultura e il paesaggio; sono un grande tema su cui oggi la scienza ha accumulato un alto livello di conoscenze, che consentirebbero di convivere con i terremoti in sicurezza se non totale (il rischio zero non esiste), almeno con un rischio accettabile. Invece, a fronte di ciò, il Pnrr assume una visione quanto meno vecchia e certo non adeguata a un paese industrializzato.

Ci sembra che il messaggio del Pnrr sul tema sismico non sia condivisibile, perché conferma una continuità con il passato di un paese che nei quarant’anni dal terremoto dell’Irpinia (1980), che causò quasi tremila morti e un dissesto abitativo e territoriale non più ricucibile, non è stato in grado né di elaborare un Piano di prevenzione complessivo né di predisporre una struttura organizzativa per discutere e condividere tale Piano, come visione del futuro e di una cultura del rischio, da cui il paese è ancora molto lontano.

Protezione

Il secondo punto del documento che lascia perplessi, e anche questo in continuità con la storia recente del paese, è la frammentazione del problema della protezione sismica, che il Pnrr affida all’incentivo fiscale detto “sisma-bonus al 110 per cento” o super bonus, una forma di autotutela senza alcuna guida né priorità, a discrezione dei proprietari e dei costruttori, che non può risolvere il problema di un rafforzamento diffuso dell’edilizia privata e della riduzione della vulnerabilità nelle aree sismiche. Per questo incentivo e per quello finalizzato all’efficientamento energetico (“eco-bonus”) il governo prevede una spesa complessiva di 22,4 miliardi (di cui 13,5 con il Pnrr). Il sisma bonus è stato già da molti criticato. Ma è anche prevedibile che, data l’enorme platea degli interessati, l’eco-bonus assorba la massima parte delle risorse.

Nel testo del Pnrr si rilevano anche altre voci di spesa per risolvere il problema del rafforzamento antisismico di diverse tipologie di opere (scuole, uffici giudiziari, chiese, ospedali, ecc.), tutti interventi considerati separatamente, senza una visione urbanistica dei contesti e delle eventuali interazioni critiche fra edifici. È evidente che nel paese delle disuguaglianze, come noi siamo, gli effetti indesiderati del super bonus non tarderanno a manifestarsi, ma forse sarà difficile rimediare e cambiare rotta. Quando si prescinde dallo stato delle conoscenze scientifiche e dal principio costituzionale di solidarietà entrano in gioco interessi particolari in contrasto e solo chi è più forte e agguerrito riesce a imporsi. Uno stato democratico ha invece il dovere di indicare l’interesse collettivo e di puntare solidamente in quella direzione, coinvolgendo istituzioni, esperti, cittadini.

Governare non è anche (e forse soprattutto) prevedere dove portano le scelte che si stanno operando?

 

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