Lo so, ci sono cose più importanti. Eppure lo scambio di qualche sera fa tra un docente di parassitologia molecolare e un deputato della Repubblica laureato in scienze bancarie racconta la pandemia, cioè l’Italia della pandemia, meglio di parecchi editoriali.

Per chi avesse perso la scena si era in uno studio televisivo, il politico in presenza, l’accademico collegato. Quest’ultimo chiedeva al parlamentare una risposta secca alla domanda se la quarantena servisse o meno a contenere il contagio. L’altro concedeva il punto: la quarantena serve. Allora il professore lo incalzava per capire la logica che rendeva una cosa utile per il singolo dannosa se applicata alla comunità. E lì il dialogo si è incartato. Per altro nella chiave più classica, quella del profano che erudisce il dotto. Il politico esibiva un foglio parlandone come la ricerca definitiva sulla materia criticando lo scienziato per non averne preso lettura. Quello reagiva spazientito, va pure compreso, e liquidava ricerca e deputato segnalandone la totale ignoranza su epidemiologia e dintorni. Stoccata finale e perfida del politico: marcare la posizione dell’esperto, a suo dire non propriamente in cima alla graduatoria degli specializzati nella disciplina.

Siamo nel genere della rissa verbale, topos dell’intrattenimento mediatico da Funari in poi, più o meno una trentina d’anni. Si tratta spesso di siparietti costruiti in favore d’ascolto. Altre volte no, sono la conseguenza non cercata di abbinamenti rischiosi in sé. Ora, conta nulla che uno parteggi per lo studioso o il politico, nel caso mio l’altra sera avrei abbracciato il primo. Rimane sospesa la questione di fondo: quale sia il limite, se c’è, o la ratio, se esiste, di abbinare nella discussione profili e competenze talmente distanti da poter risolvere quel dialogo in sole due direzioni. O, quando tra i due vi sia comunanza di vedute, in un garbato riconoscimento del primato della competenza. Oppure, laddove tra i chiacchieranti sussistano distanze anche marcate, nel bisogno per chi parte più debole sul merito di precipitare lo scambio in una zuffa. Cosa che puntualmente si verifica quando su materie tecnicamente complesse vengono chiamati a misurarsi persone che a quel segmento specifico hanno dedicato una vita tra laboratori e dispense e altri che sullo stesso argomento avevano conosciuto una volta a cena la cugina di un amico del fratello di un virologo.

Duello con Cyrano

Anni fa, molti a dire il vero, mi pare di ricordare e son quasi certo di non essermelo sognato, in non so quale cornice televisiva, una dinamica simile riguardò due geni, ciascuno nel proprio campo si capisce. Il primo, Gianni Brera, era sin da allora il decano dei giornalisti sportivi nonché autore di alcuni dei soprannomi che hanno fatto la storia del nostro calcio. L’altro, Gualtiero Marchesi, uno chef (ma forse all’epoca si diceva ancora cuoco), tra i maestri riconosciuti per talento e creatività. Bene, succedeva che lo chef ragguagliava in collegamento sulla procedura di un piatto della tradizione. Che so, fate conto il risotto o l’ossobuco alla milanese. Salvo che l’altro, il giornalista illustre, a quel punto si azzardava a chiosare la ricetta mettendo una virgola all’illustrazione del Maestro cosicché ne derivava un diverbio, visti i tempi, contenuto nel campo della correttezza di lingua, ma alquanto esplicito nel sottotesto. A conferma, se ne avessimo necessità, di una legge antica.

Se incroci le lame tra Cyrano e un passante disposto a ironizzare sulla lunghezza del naso, stai certo che lo schermitore imbraccerà la spada e si farà valere per maestria. Il solo modo che può evitare lo spargere, metaforicamente, il sangue è consentire al sapere di esprimere le sue opinioni e al politico disinvolto di esprimersi a piacimento, nei limiti del possibile in contesti separati. Perché se un diciottenne diplomato dovesse iscriversi a medicina tutto apprezzerebbe, meno che trovarsi in cattedra a lezione di anatomia un esperto di fidejussioni bancarie. Ma allora, diamine, perché quell’innocente seduto sul divano dopo una giornata di lavoro non dovrebbe godere dello stesso privilegio?

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