È passato il Natale, ma resta la proposta di legge, ispirata al Natale, presentata da esponenti di Fratelli d’Italia poco prima delle feste. La proposta, come esposto nella relazione di accompagnamento, mira a impedire a «dirigenti di istituzioni scolastiche e universitarie di cancellare o chiamare in altro modo le celebrazioni e tradizioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana», nonché «di vietare nei propri istituti i simboli e le rappresentazioni» di tali festività.

Ciò nel presupposto che il principio di «uguaglianza multiculturale» – che caratterizza «l’attuale contesto sociale» – rappresenti uno «strumento di distruzione delle nostre regole e tradizioni», dei «nostri simboli identitari», attraverso la sostituzione con altri che «sono propri della storia e della spiritualità di altri territori e di altre popolazioni».

Ma le intenzioni dei firmatari del testo contrastano con regole e princìpi dell’ordinamento nazionale.

Il principio di laicità dello Stato

«La Repubblica valorizza, preserva e tutela le festività e le tradizioni religiose cristiane quale espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano», prescrive il disegno di legge, che cita «l’allestimento del presepe, le recite e le altre manifestazioni a esse collegate, al fine di ricordare il loro profondo significato di umanità e il rapporto che le lega all’identità nazionale italiana».

A parte il fatto che concetti vaghi come quello di “umanità” o di “identità del popolo italiano” poco si addicono a una norma giuridica, che dovrebbe essere quanto più precisa, il ddl presenta diverse criticità in punto di diritto. La predominanza attribuita dal legislatore a feste e tradizioni cristiane si risolve nella maggiore importanza data alla religione cristiana rispetto ad altre. E ciò appare in violazione del principio di laicità dello stato, vale a dire di quel pluralismo confessionale e culturale in base a cui lo stato stesso non può far prevalere un orientamento ideologico rispetto ad un altro.

Questo principio si ricava non solo da disposizioni costituzionali (articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20), ma anche dalla revisione del concordato tra governo italiano e Santa sede, con cui è stato abrogato il principio della «religione di stato».

Come ha precisato la Corte costituzionale, il principio di laicità non significa «indifferenza dello stato dinnanzi alle religioni, ma garanzia dello stato per la salvaguardia della libertà di religione». Da ciò scaturisce, come afferma ancora la Corte in un'altra sentenza, il dovere di «equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose». Il contrario di quanto fa il ddl in discorso, che è a rischio di incostituzionalità.

Libertà e tolleranza

Secondo il Consiglio di Stato, «la partecipazione a una qualsiasi manifestazione o rito religiosi (sia nella scuola sia in altre sedi) non può che essere facoltativa e libera, (…) nonché tollerante nei confronti di chi esprime sentimenti e fedi diverse, ovvero di chi non esprime o manifesta alcuna fede». Libertà e tolleranza che l’imposizione religiosa sancita dalla proposta di legge, è finalizzata a impedire.

La coesistenza fra culture diverse è auspicata anche dal Testo unico in materia di istruzione, ai sensi del quale la libertà di insegnamento dei docenti è diretta «a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni». Il ddl in esame, comprimendo tale libertà, ostacola anche il confronto fra idee differenti promosso dal testo unico.

L’autonomia scolastica

Il progetto di legge, inoltre, non rispetta l’autonomia scolastica – prevista sempre dal testo unico e disciplinata da un regolamento – che si concreta nella libertà delle scuole di decidere anche le manifestazioni simboliche per le festività. Tale autonomia si esprime nel cosiddetto Piano dell’offerta formativa, «elaborato dal collegio dei docenti» sulla base «delle proposte e dei pareri» formulati dai genitori e dagli studenti, e adottato dal Consiglio di Istituto.

Il ddl, vietando di impedire iniziative «connesse alle tradizionali celebrazioni legate alle festività del Natale e della Pasqua cristiana» distorce il procedimento decisionale attraverso cui si attua l’autonomia scolastica e finisce per limitarla.

Per tutti i motivi esposti, la proposta di legge è destinata a naufragare, ma intanto durante le festività natalizie ha già funzionato in termini di propaganda. Per il governo, evidentemente, tanto basta.

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