Che relazione ha la festa nazionale del 2 giugno con la storia e la memoria dell’avvento della Repubblica nella nostra democrazia? Sono passati più di 75 anni da quel momento fondativo, ma ancora oggi la natura e la condivisione del “sentimento repubblicano” sono temi tutt’altro che risolti. Nel discorso mediatico e nell’opinione corrente la festa e le rappresentazioni della Repubblica sono ritornati ad avere una certa attenzione da quando Carlo Azeglio Ciampi – e con lui anche i presidenti che gli sono succeduti – ha rimotivato il significato del 2 giugno nel calendario civile.

E però, se già esso si è arricchito nell’ultimo ventennio di giorni della memoria che hanno modificato l’equilibrio originariamente definito nel 1949 da Alcide De Gasperi, la spinta impressa dal governo guidato dalla destra meloniana tende a dissimulare le radici, insieme antifasciste e repubblicane, della nostra democrazia. Si sta giocando intanto una subdola tenzone di natura culturale, con l’insistenza su una presunta amnesia da parte della tradizione democratica verso le idee di patria e di nazione.

Se la loro fascistizzazione - nel ventennio mussoliniano si era considerati Italiani solo se fascisti – ingenerò indubbiamente forti preoccupazioni nelle sinistre circa un pervasivo utilizzo nostalgico, fu dall’alveo mazziniano ed azionista che il presidente Ciampi trasse l’aspirazione a rimettere la festa del 2 giugno al centro del calendario civile repubblicano: l’orizzonte non era affatto quello nazionalista tanto caro alla destra già neo-fascista ed oggi alla ricerca di una veste conservatrice, ma quello di un patria che rivitalizzava i valori repubblicani della Costituzione nel nuovo spazio democratico europeo.

Detto questo, osserviamo da tempo una sorta di sradicamento nell’identità politica e culturale della Repubblica: in primo luogo, nel rapporto dei cittadini con le istituzioni. Se il concetto di Repubblica, a differenza di definizioni invece fortemente divisive – come Stato e Nazione – è largamente percepito in termini positivi, occorre chiederci per quali motivi il momento fondativo della Repubblica non sia divenuto la risorsa di un effettivo sentimento repubblicano.

Necessitiamo di un lessico e di una simbologia che diano vigore alle immagini della Repubblica, capaci cioè di ricongiungersi alla tutela dei diritti soggettivi, al “vissuto” sociale e culturale dei cittadini. Il giorno di festa nazionale va ripensato e allargato a tutto il Paese; alle cerimonie istituzionali nella capitale vanno accompagnate manifestazioni storico-culturali nei territori, con il coinvolgimento delle scuole e delle reti associative che svolgono continue attività di Public History, interagendo con le domande di critica conoscenza storica che vengono dai cittadini.

Ripensarne la fondazione attraverso un’idea di cittadinanza attiva significa rendere vivi i caratteri identitari della Repubblica, attraverso storie comunitarie che permettano il coinvolgimento emotivo di generazioni diverse e l’attualizzazione dei suoi valori: volendo compendiarli, l’apprendistato alla Costituzione repubblicana e l’educazione alla cittadinanza nella tutela dei beni comuni (la salute, l’istruzione, l’ambiente, l’integrazione sociale e culturale).

Il governo

Se in un suo intervento illuminante, Liliana Segre indicò nel 2 giugno la terza data (con il 25 aprile e il 1° maggio) di un ideale calendario civile repubblicano, occorre pur dire che il governo Meloni non riesce proprio a farne suo l’orizzonte valoriale. Manca una esplicita adesione ai valori morali che sono alla radice della nostra Repubblica, che non assolutizza i concetti di patria e di nazione come “società naturali”, di per sé quindi escludenti e aprioristiche, mentre l’idea di Repubblica che la Costituzione alimenta è quella dell’inclusione, di una comunità che accoglie quanti ne condividano i valori, i diritti e i doveri di ciascuno.

Non è una caso allora che dal 1915 Sergio Mattarella sia intervenuto in più occasioni nel motivare le ragioni ed i sentimenti di un “patriottismo repubblicano” sensibile alle sfide europee e transnazionali, refrattario ad ogni deriva sovranista e nazionalistica. La pedagogia civile promossa dal presidente è intesa a favorire la promozione di una cultura diffusa di “costituzionalismo civico e di una prassi di “Repubblica solidale” (che la drammatica alluvione nelle terre di Romagna ha ridestato in modo corale e coinvolgente).

Se infine la memoria e il discorso pubblico sono divenuti termometri sensibili di ogni possibile sentimento repubblicano, la sua narrazione deve muovere da una capacità di riflessione storica in grado di andare oltre convenzioni e motti tradizionali.A chi propone la riscrittura di un inverosimile calendario repubblicano, sovrapponendo date ed eventi che poco hanno a che fare con la storia italiana- dove se una dittatura ci fu, essa ebbe una matrice fascista -, occorre rispondere che se gli anniversari del 25 aprile e del 2 giugno sono fortemente connessi, la valorizzazione piena del momento fondativo della Repubblica merita una maggiore attenzione.

La vittoria della Resistenza fu un fattore necessario alla vittoria della Repubblica nel referendum popolare del 2-3 giugno 1946. Poteva essere però un fattore non sufficiente a determinare quell’esito, se nel frattempo non fosse maturato un processo di larga politicizzazione inteso – con il decisivo coinvolgimento delle donne – ad accomunare le culture politiche popolari antifasciste, pur in competizione nella conquista del consenso e dei modelli di società, nella prefigurazione di un condiviso orizzonte di aspettative, riassunto dai principi e dai valori della Costituzione.

Ecco perché dobbiamo sentire come nostro ed attuale l’anniversario della nascita della Repubblica e perché quella tavola dei valori serve ancora oggi come riprova dell’effettivo grado di sentimento repubblicano in chi è stato chiamato dai cittadini a guidare le istituzioni.

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