Quel piccolo bulletto di Zaki doveva marcire in galera per imparare la gratitudine. Così ha detto Vittorio Feltri, a lungo giornalista del più livoroso giornale della destra e ora omaggiato di un seggio al consiglio comunale di Milano nelle liste di FdI. È un piccolo esempio tra i tanti, tali da riempire tutto questo giornale, dell’odio roccioso che trasuda dalla destra di questo paese. La politica italiana ha una lunga tradizione di rissosità, di scontri all’arma bianca, di accuse sanguinose, di baruffe anche in parlamento. Fortebraccio sull’Unità e Montanelli sul Giornale non andavano per il sottile. Quel clima faceva parte della nostra storia nazionale, intessuta di violenza verbale e non. Tanto da portare, per tante vie diverse, alla stagione del terrorismo.

Dopo quegli anni terribili la politica ha radicalmente stemperato la conflittualità. La febbre ideologica scese di colpo. La politica trovò un diverso modus vivendi. A livello giovanile, dimenticando la politica con varie modalità, dal riflusso nel privato alla disperazione dell’emarginazione, dalla riconversione nell’associazionismo e nel volontariato alla ricerca dl successo individuale tra edonismo e acquisizione. A livello del sistema partitico, riconoscendo a tutti “agibilità politica” come si diceva all’epoca dei movimenti degli anni Settanta. L’omaggio reciproco di rappresentanti del Msi alla salma di Enrico Berlinguer nel 1984 e del Pci a quella di Giorgio Almirante nel 1988 simboleggia un diverso, più disteso clima politico. Che però si infrange presto con il crollo dei vecchi partiti e l’irruzione di due homini novi della politica italiana, Umberto Bossi e Silvio Berlusconi.

Con stile diverso ma con analoga aggressività entrambi hanno reintrodotto nel paese la delegittimazione radicale dell’avversario. Già dalle prime parole della sua discesa in campo il Cavaliere innesca di nuovo una minima radicalizzante quando, cosparso di un finto bon ton, bolla con parole di fuoco gli avversari tacciandoli di essere «una minoranza che ci avrebbe inflitto un futuro soffocante e illiberale». E non era l’ingenuità di un neofita, perché tale refrain risuonerà continuamente e ossessivamente negli anni successivi. Questa onda delegittimante continua a montare.

Perché c’è un passato che non passa a destra, soprattutto tra i ranghi di Fratelli d’Italia: è il fastidio, fino al rigetto, di visioni diverse, frutto di una mentalità monista e integralista che trova nel recupero della Tradizione contro l’Illuminismo il suo ancoraggio ideologico più profondo. Del resto alcuni dei padri politici rivendicati dalla presidente del consiglio consideravano la democrazia una «sifilide dello spirito moderno». Dalle parti di Palazzo Chigi sono ancora attivi molti i legami affettivi, identitari e ideali con un passato cupo.

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