Il governo presieduto da Giorgia Meloni, già ministro per la gioventù, ha emanato un decreto contro i rave party che sta facendo molto discutere.

In un paese di anziani, che si fingono eterni giovani e sono infastiditi dai giovani veri, dove nascono pochi figli, dal quale i giovani migliori emigrano, si avverte una emergenza giovani.

Da troppo tempo le istituzioni non si preoccupano dei giovani, della loro domanda di politiche che garantiscano opportunità formative, spazi dove esercitare la creatività e coltivare interessi culturali, artistici e musicali, di università economicamente accessibili, di attenzione per l'ambiente, di contrasto al disagio sociale, di opportunità lavorative.

Questo chiedono i giovani che, invece, sono oggetto di attenzione solo in termini di azioni repressive.

Né l'opinione pubblica prevalente riserva loro più sensibilità, essa esprime diffidenza soprattutto per le iniziative collettive.

Un esempio si è avuto con i centri sociali. Mentre Berlino su questi ha costruito una nuova e brillante identità culturale, da noi "giovani dei centri sociali" è un'espressione che sottintende anomia, devianza, violenza, marginalità, anziché socialità, creatività, capacità di organizzazione e fruizione culturale a bassi costi, capacità propulsiva di iniziative anche pregevoli, inquietudine fattiva alla ricerca di opportunità di apprendimento ed espressività, lontane purtroppo dalla capacità di proposta istituzionale.

L'identità è una dimensione del sociale e noi rimandiamo loro un'immagine orribile di se stessi, anziché vederli e sostenerli per quel che sono: la più grande riserva di energia e innovazione del Paese.

Nel tumulto dell'età evolutiva (ormai lunghissima) e prima del passaggio alla maturità, si manifestano in maniera collettiva, libera, spontanea e a volte caotica, con idealità, passione, sperimentazioni, pulsioni, bisogno di individuare limiti, di rasentare il rischio, provocare, modificare, sfidare.

Tutto per conquistare sicurezza, forgiare capacità e carattere, esprimere potenzialità in un clima di intensa socialità. Questo vuol dire essere giovani.

Dobbiamo difenderci dai giovani o dobbiamo difendere loro dalla società di cui noi siamo responsabili? Sono il nostro futuro, ma noi li abbiamo privati del futuro che per loro è un'angosciosa minaccia.

Come si affrontano gli aspetti inquietanti della condizione giovanile? Due milioni di Neet (giovani che non studiano e non lavorano), l'abbandono scolastico, una scuola che ha rinunciato a formare persone inseguendo il mito dell'utilità dell'istruzione, uno dei più bassi tassi di laureati dei paesi Ocse, un mercato del lavoro che non offre sbocchi, l’impossibilità di procreare nell'età biologicamente giusta e di rendersi indipendenti dalla famiglia, lo spreco della loro energia innovativa, che dopo i trent'anni va scemando.

Questi sono i veri problemi.

Ma nei rave girano droghe! Allora chiudiamo anche discoteche e scuole, anche lì girano droghe.

O forse è preferibile che affondino il loro malessere, come molti adulti, facendo uso di antidepressivi e farmaci di ogni tipo o consumando droghe in solitudine?

Ma occupano spazi di altri! Quali spazi alternativi offriamo loro?

Ma ascoltano musiche insopportabili! Nella storia dell'umanità i giovani ne hanno sempre avuto bisogno.

I vecchi non possono capire. I veri giovani ci infastidiscono, ci spaventano, preferiamo gli inutilmente giovani, i giovani che sembrano adulti e gli adulti che sembrano giovani.

Essere giovani ci pare davvero un reato. Mettiamo fuori legge la giovinezza? Mettiamo in galera il nostro futuro?

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